giovedì 24 dicembre 2020

Francesca Rosso parla di inclusione agli studenti del Liceo Classico

Riflessioni della dott.ssa Francesca Rosso per una vera inclusione

17 dicembre 2020: le classi IIIA e IIIC del liceo classico hanno incontrato la dott.ssa in Legge Francesca Rosso (ex allieva del nostro istituto)

Come commentare interventi a microfono attivo o messaggi in chat di studenti che ringraziano per quelle che definiscono due ore di “vera scuola”, passate a riflettere su cosa sia realmente l’inclusione, non solo in termini giuridici, ma anche nella loro quotidianità? E che sottolineano come siano state fondamentali per capire meglio sé stessi e poter, quindi, crescere davvero? Direi che c’è un’unica risposta, e sono le stesse parole usate dai ragazzi: si è fatta “vera scuola”! 

E’ quanto è accaduto giovedì 17 dicembre 2020 a due classi del liceo classico (IIIA, in compresenza col prof. Carlo Bavastro, e IIIC, compresente la prof.ssa Paola Bombaci) che dalle 10.34 alle 12. 10 sono state impegnate, a distanza, in una lezione, tenuta dalla dott.ssa Francesca Rosso, avente a tema l’inclusione e come il diritto si occupi dei diritti (mi si passi il bisticcio) di categorie sociali purtroppo ancora oggi “a rischio di esclusione” nella nostra società: le donne, il mondo LGBT, i disabili, gli studenti con disturbi di apprendimento, gli immigrati, anche di seconda generazione, per citarne soltanto alcune.

I nostri giovani allievi, da una altrettanto giovane, appassionata e competente dottoressa in Legge, che sogna un futuro (meritato, aggiungo io) in magistratura e che solo una decina di anni fa occupava, orgogliosamente, quegli stessi banchi del liceo classico, hanno imparato che “includere” non significa solo riconoscere dei diritti, ma anche garantirli; che l’uguaglianza non sta nel trattare tutti nel medesimo modo, ma in modo identico situazioni identiche e in modo diverso situazioni diverse; che alla base dell’inclusione stanno l’empatia e la solidarietà, ma che questa non può, da sola, rimediare alle inadempienze delle istituzioni.

Un esempio, lampante, vissuto e raccontato dalla relatrice stessa: tassisti che, durante un servizio diretto al Tribunale di Milano, arrivati a destinazione, con un gesto certo di grande solidarietà, accompagnano a piedi la nostra dottoressa fino all’interno dell’edificio, perché delle molteplici entrate solo una (!) è dotata di corrimano che permetta di salire le scale a chi ha difficoltà nella deambulazione.

Illuminante, in merito, l’osservazione della stessa Francesca Rosso: un grazie, certo, alla buona azione del tassista, ma una reale inclusione vorrebbe che ogni entrata avesse un corrimano e che fosse lo Stato a occuparsene! 

Di esempi come questi, concreti e quotidiani, quindi davvero efficaci per il pubblico dei nostri giovani allievi, ne sono stati fatti mille altri, non ultimo la proposta provocatoria di una giovane lesbica che auspicherebbe un no touch day in modo che tutti potessero realmente comprendere cosa significhi essere costretti a trattenere in pubblico un qualunque gesto di affetto verso la persona dello stesso sesso cui si vuole bene. E dalle reazioni degli studenti si è constatato con gioia e speranza che la maggior parte dei giovani di oggi ha finalmente abbattuto la barriera del pregiudizio.

Per concludere, torno al sincero entusiasmo della prime righe e con grande riconoscenza ringrazio la prof.ssa Bombaci (docente di italiano della classe IIIC) per aver organizzato l’evento, frutto di una collaborazione continua e assidua con la dott.ssa Rosso su tematiche inclusive, e per averlo condiviso anche con me. Non posso che essere, poi, grato a Francesca per aver accettato di mettersi al servizio dei nostri giovani allievi, con la professionalità, l’entusiasmo e lo spirito di chi ha fatto della giustizia la missione della propria vita.

E, infine, un grazie a loro, le nostre giovani generazioni, adolescenti di oggi, adulti di domani, ancor più consapevoli, grazie a un’esperienza come questa, del fatto che solo in virtù di un “delta positivo” (rubo la citazione a Francesca Rosso), ovvero l’attenzione, l’empatia e la solidarietà, potranno garantire un’inclusione che non sia una semplice dichiarazione di intenti.

A cura di Carlo Bavastro

domenica 20 dicembre 2020

Tombola di beneficenza dei Licei di Asti

Iniziativa degli studenti:

Buongiorno a tutti! 
Si avvicina il Natale, purtroppo però quest'anno non ci sarà la possibilità di festeggiarlo  tutti insieme in presenza e non potremo scambiarci gli auguri con un abbraccio nei nostri amati corridoi. 

Nonostante le restrizioni dell'emergenza che non ci consentono di stare insieme, abbiamo voluto comunque far sentire la nostra voce, decidendo di partecipare ad alcune meravigliose iniziative che ci permetteranno di fare del bene a chi si trova in un momento di difficoltà. 
Insieme al Liceo Scientifico Vercelli ed al Liceo A. Monti, abbiamo pensato di organizzare una tombola di beneficenza il cui ricavato sarà devoluto alla Caritas di Asti, perché il nostro momento ludico possa portare qualcosa di buono alla nostra città, nella speranza di poter aiutare a trascorrere un Natale un po' più sereno a chi ne ha davvero bisogno.

L'estrazione della tombola avverrà martedì 22 dicembre 2020 dalle ore 11:00, sarà live su youtube.

L'evento si svolgerà dalle ore 11.00 alle ore 12.00



La dirigente scolastica ha esonerato dalle lezioni tutti gli studenti dell'IIS "Alfieri" che, in accordo con i loro docenti, vorranno aderire all'iniziativa benefica.

Per ogni richiesta di informazioni si prega di contattare Sara Manzoni.

Vi aspettiamo numerosi!

Sara Manzoni
Studentessa rappresentante di istituto - IIS "Alfieri" - Asti

Un NATALE per TUTTI

“Un Natale per Tutti” è un'iniziativa di raccolta fondi online sulla piattaforma GoFundMe o tramite donazione attraverso bonifico bancario che sarà devoluta in beneficenza alla Caritas di Asti. 
L’idea nasce da un gruppo di studenti del Liceo Scientifico di Asti "F. Vercelli" e dalla consapevolezza dell’aumento delle famiglie in difficoltà economica nella nostra città a causa dell’attuale situazione pandemica e delle relative chiusure. Gli studenti hanno deciso di provare a dare un loro contributo per permettere a tutti di passare un Natale sereno e dignitoso. 
E' un'iniziativa che parte dagli studenti per Asti, alla quale hanno aderito come promotori anche gli studenti dell'IIS "Alfieri" di Asti che intendono estendere l'invito a tutta la popolazione.

Fare una donazione è semplice: una volta aperto il sito di GoFundMe e trovata la nostra campagna “Un Natale per Tutti”, basterà inserire nome, cognome, codice postale, indirizzo email e carta di credito, la somma decisa e cliccare invio. 

Cinque minuti spesi per una buona causa e per la propria città! E per chi non fosse capace o non volesse usare questa piattaforma, nessun problema! Può benissimo fare una donazione diretta alla CARITAS tramite bonifico.

Codice IBAN IT17S0623010320000046398437
Vogliamo dare una risposta forte, INSIEME, che illumini questi scuri momenti di lockdown. 

Grazie in anticipo!

Sara Manzoni - studentessa
Rappresentante di Istituto IIS "Alfieri" - Asti

venerdì 18 dicembre 2020

Riflessioni di una studentessa sul Natale

 

Chi “ruberà” il Natale 2020?


Tra consumismo e voglia di riscoprire i valori più autentici 

Che si tratti di Conte, armato di pennarelli per colorare le regioni, del Grinch o delle severe restrizioni applicate per arginare una terza ondata, è ormai chiaro che forze maggiori contrasteranno i festeggiamenti di questo non Bianco, bensì variopinto, Natale 2020… 

Giorno della luce e del buonumore diffusi nell’atmosfera generale, a parte il disappunto di pochi scettici irriducibili, festa della famiglia, degli affetti e dello stare insieme tanto ostacolato dalle restrizioni vigenti. Certo, quale modo migliore di un abbraccio per dimostrare l’amore, in qualsiasi sua forma? Il Covid avrebbe tuttavia qualcosa da replicare, dal momento che in questo anomalo e tragico 2020, i segnali della premura e dell’altruismo sono il rispetto della distanza di sicurezza, l’utilizzo imperativo della mascherina e il cenone “affollato” al massimo da 6 persone. 

Negli ultimi anni festività dei consumi, delle liste dei doni, delle corse frenetiche al centro commerciale, delle luminarie accese a rischiarare le vie e le piazze delle città, oltre alle decorazioni scintillanti all’interno e all’esterno delle abitazioni, non sarà quest’anno risparmiato dalla pandemia in corso. 

La tanto agognata normalità dovrà aspettare ancora un po’, chissà quanto, e se da una parte si attende speranzosi quel giorno, dall’altra potrebbe essere il momento di fermarsi a riflettere e trarre un senso dalla frustrazione, dalla delusione e amarezza dell’anno ormai, per fortuna, quasi giunto al termine. 

Cosa è cambiato? Si è rivelata la necessità ineluttabile della presenza e del sostegno degli altri, del sentimento sincero che può attraversare e coprire le distanze geografiche, della generosità, del valore di ogni piccolo momento dato per scontato per troppo tempo. “Natale con i tuoi, Capodanno con chi vuoi”; ma se brinderemo all’anno nuovo in videochiamata davanti alla solita soporifera trasmissione musicale, se la tavolata imbandita il 25 dicembre non sarà gremita, come gli anni passati, di familiari, parenti e vicini, alcuni ritrovati una volta all’anno puntualmente solo per l’occasione, forse sarà davvero evidente l’autentico significato di questa ricorrenza. 

Senza dimenticare, proprio in un anno travolto da una singolare crisi, non solo umanitaria e sanitaria ma in buona parte economica e sociale, il significato del Natale come scambio e condivisione di doni. Tutti siamo invitati a sostenere, in base alle possibilità di ciascuno, i negozi “fisici” e le attività duramente provate dai ripetuti lockdown e dalle varie chiusure imposte, magari anche per ripensare al regalo non come un obbligo imposto dall’urgenza di non presentarsi a mani vuote, ma come un segno di attenzione e affetto, in quanto ora più che mai a contare è il pensiero. 

Nonostante le polemiche all’ordine del giorno per quanto riguarda la stagione sciistica, le aperture dei negozi e ristoranti, è superfluo ribadire come ad attenderci sia una festività più sobria, raccolta e oserei dire “spirituale”, da trascorrere solo con i cari più prossimi. Proprio quei membri della famiglia che garantiscono quel senso di appartenenza fondamentale per superare la solitudine, ma anche per comprendere a pieno il concetto di nascita, o sarebbe meglio dire rinascita, visti i tempi, dalle difficoltà passate, per affrontare diversamente anche gli ostacoli correnti. Un messaggio oggi più che mai attuale e universale. 

In conclusione, dal momento che lo slogan “andrà tutto bene” sembra ormai superato, oltre che smentito, auguriamoci che “finisca tutto bene”, cercando di essere più positivi possibile, anzi, mi correggo, negativi al tampone, ma sempre ottimisti. 

A cura di Giulia Mora

 

sabato 12 dicembre 2020

"GLI INCONTRI DELL'ALFIERI" - LABORATORIO SUI DIRITTI

 "GLI INCONTRI DELL'ALFIERI" - LABORATORIO SUI DIRITTI

Proseguono gli incontri progettati dall'Istituto "V. Alfieri" e rivolti agli studenti di varie classi, secondo un ricco palinsesto di iniziative culturali che prenderà inizio Martedì pomeriggio, con la prima conferenza alfieriana della dott.ssa Carla Forno, e proseguirà con molte iniziative e dibattiti anche nei prossimi mesi.

Si svolgeranno Mercoledì 17 dicembre e Giovedì 18 dicembre 2020 due interventi della dott.ssa Francesca Rosso, destinati a tutte classi seconde dell'Istituto e alla III A e III C.
Gli incontri, in modalità on-line, saranno l'occasione per una approfondita riflessione sul tema della inclusione e delle pari opportunità.
Il titolo dell'incontro laboratoriale è infatti questo: "Inclusione: la teoria del delta positivo".


La dott.ssa Rosso guiderà gli studenti per due ore ad una riflessione approfondita sul tema, illustrandone i fondamenti giuridici e i risvolti pratici della esperienza quotidiana.

giovedì 10 dicembre 2020

L'Istituto "V. Alfieri" paladino dell'inclusione

I. I. S. “V. Alfieri”: inclusione e innovazione per una scelta di qualità e benessere 


Senza dubbio, più di ogni altra scelta, quella della scuola superiore si fonda sul tipo di indirizzo che risponda alle proprie passioni, inclinazioni e aspettative per il futuro. 

Foto di Gerd Altmann da Pixabay 

Le domande che, tuttavia, i giovani allievi delle medie si pongono, o vengono poste loro dai docenti o dalle famiglie, riguardano di solito l’essere o meno all’altezza delle “pretese” dell’istituto che sceglieranno: “Ti piace davvero la matematica? Riuscirò nelle lingue straniere? Non sarà troppo difficile il greco? Ma credi basti disegnare bene? Avrò la costanza di studiare tanto? Ti vedi realmente a frequentare ragioneria? La filosofia non sarà troppo complessa?”. E, come queste, tante altre. Non ultime, quelle sulla possibilità di conciliare lo studio con i propri hobby, con l’ansia che la rinuncia sia inevitabile (“Dovrò smettere di...”). 

Interrogativi certo legittimi, ma alla cui base c’è però un errore di fondo: chiedersi soltanto se si sia preparati o portati per un certo percorso scolastico senza domandarsi se la scuola superiore cui si ha in mente di iscriversi sappia metterci nelle condizioni di realizzarci non solo come studenti, ma anche come persone, senza pregiudizi, nel rispetto delle nostre caratteristiche individuali. 

Cosa significa questo? Abbassare il tiro per agevolare tutti? “Allestire vetrine accattivanti” in modo da conquistare anche gli studenti meno convinti? No di certo. 
Foto di Pete Linforth da Pixabay 


Per capire cosa si intende basti una metafora: un castello arroccato su una rupe scoscesa e impraticabile è certo una meta ambita da molti, ma l’assenza di una strada che vi conduca dimezzerà il numero di chi potrà raggiungerlo. Se poi il pendio che porta al suo ingresso è una parete strapiombante, escluso qualche alpinista, nessuno potrà mai goderne le bellezze. 

Ciò che è raro, prezioso e difficile da raggiungere, penserà qualcuno, vale di più di quanto è alla portata di tutti. 

Se questo, certo, può valere per una cima dolomitica, non vale per l’istruzione e la formazione, specie degli adolescenti, su cui poggia il futuro di un Paese cui davvero stia a cuore l’educazione: “tirar fuori” il meglio da ogni studente, certo senza escluderne l’impegno, che dovrà essere consapevole. 

Una scuola al passo coi tempi dovrà, quindi, ragionare su come condurre all’obiettivo finale i propri giovani, cucendo su ognuno di loro percorsi scolastici che tengano realmente conto delle peculiarità che li caratterizzano e valorizzando la diversità: solo in questo modo, per tornare alla metafora di prima, raggiungeranno il castello non solo gli alpinisti, ma anche gli escursionisti esperti, gli appassionati di montagna e chi, pur digiuno di trekking, si sforzerà comunque di conquistare la meta. Il “castello”, diversificando gli accessi, sarà così a disposizione di tutti quanti, con forza di volontà, si badi bene, vorranno guadagnarselo: ecco lo spirito inclusivo. 

Ebbene, della messa in atto di strategie simili l’ I. I. S. “V. Alfieri”, nelle sue tre sezioni di Istituto Professionale, Liceo Artistico e Liceo Classico, fa con orgoglio una questione di principio. 

Intanto, partendo dal presupposto che la crescita degli allievi passi anche attraverso l’opportunità di trovare risposte agli interrogativi più pressanti che l’adolescenza pone (la scoperta di sé, degli altri, delle proprie emozioni etc.), l’Istituto mette a disposizione un supporto psicologico interno alla scuola, nella prospettiva di un prossimo progetto volto ad assistere non solo gli studenti, ma anche i docenti e le famiglie, nella consapevolezza del ruolo delicato che spetta sia ai primi sia alle seconde. 

Rientrano in questi interventi inclusivi anche percorsi legati all’educazione alla salute, all’affettività, alla lotta contro il bullismo e il cyberbullismo, all’uso consapevole della Rete, alla realtà del mondo L. G. B. T., e altri ancora, in sinergia con scuole, enti, associazioni e istituzioni provinciali, regionali e nazionali, anche sfruttando tutte le potenzialità di diffusione e condivisione di informazioni offerte dal web (blog, video conferenze etc.). 

Inoltre, in un ambito più marcatamente didattico, l’Istituto si prefigge una formazione continua non solo dei docenti, ma anche degli studenti e delle loro famiglie, per un uso sempre più consapevole delle tecnologie, in parallelo con la didattica in presenza, che resta il fulcro imprescindibile del processo educativo, ma che trova nel digitale un ausilio sempre più valido, oltre che necessario: a scuola, dunque, ma con la dotazione e formazione tecnologica opportuna. 

A questo si lega la particolare attenzione prestata anche alle nuove metodologie didattiche che supportino non solo gli studenti con D. S. A. (disturbi specifici di apprendimento), disabilità o altri B. E. S. (bisogni educativi speciali), ma in generale tutti gli allievi, in funzione dei diversi stili di apprendimento che li caratterizzano. 

In questo modo, accanto alla lezione frontale, si sperimentano, a seconda dei contesti, l’apprendimento cooperativo, la classe ribaltata, l’educazione tra pari e altri approcci innovativi alla didattica che servano per porre davvero al centro lo studente come parte attiva della propria crescita. 

Adattare, quindi, la didattica agli studenti, perché diano il meglio di sé: questa è la sfida. 

A distanza di secoli, la citazione terenziana homo sum, humani nihil a me alienum puto (“sono un uomo e non ritengo estraneo a me niente che sia umano”) rappresenta per l’I. I. S. “V. Alfieri” la scelta eticamente e pedagogicamente più valida perché si faccia vera scuola.

 A cura di Carlo Bavastro

 

mercoledì 9 dicembre 2020

Un ricordo di Anna da parte di ex studenti

Studenti ed ex del Liceo Classico piangono la bidella Anna: “E’ stata la persona che ci ha accolto” 

“Da oggi il liceo non sarà più lo stesso senza di lei”. Lei è Anna, la storica bidella del Liceo Classico Vittorio Alfieri di Asti che è scomparsa oggi lasciando un grande vuoto tra gli studenti e gli ex studenti della scuola. 

Fiumi di parole stanno scorrendo in queste ore, accompagnati dalle lacrime, dai singhiozzi, dal nodo in gola. E da tanti ricordi di una persona che per gli studenti era un’istituzione. 

“Era una seconda nonna” ci racconta Lucrezia Lopriore, diplomata da pochi mesi, che questa mattina, dopo aver saputo della scomparsa di Anna, insieme a Camilla Goria, ha lasciato una rosa davanti all’ingresso del Liceo. 

“Oggi se n’è andata una colonna portante del Liceo – la ricorda Lucrezia con la voce rotta dalla commozione – qualunque cosa servisse agli alunni, lei c’era. Io la sentivo ancora, ci eravamo tenute in contatto. E’ stata la persona che ci ha accolto, quella che ci apriva il portone al mattino. La nostra giornata iniziava con “Ciao Anna, buongiorno” e finiva con “Ciao Anna, ci vediamo domani!”. Era una di quelle persone di cui ci sarebbe bisogno ma che ce ne sono poche.” 

Anna se n’è andata lontano dai suoi studenti, che però vogliono far sentire la loro vicinanza e lo faranno anche nel momento dell’ultimo saluto, seppur nei limiti previsti attualmente. 

Anche gli insegnanti stanno lasciando commossi messaggi di cordoglio per ricordare la profonda umanità di una persona sempre disponibile e attenta alle necessità di tutti.

School for future

“School for future”, un nuovo movimento studentesco nato a Torino 

Sentendone parlare, la nostra mente ci riporta al 2018 quando Greta Thumberg avviò lo “Skolstrjk för Klimatet”, sciopero scolastico per il clima, diffuso oggi in tutto il mondo come “Fridays for future”. 

Oggi, seguendo il suo esempio, 20 studenti trasformano la strada in una scrivania. Il diritto all’istruzione e un ritorno alla didattica in presenza diventano così oggetto di protesta pacifica, ma che con parole sentite tenta di portare a un cambiamento che si spera sia prossimo. Gli studenti che aderiscono alla manifestazione sono determinati a proseguire la loro lotta fino alla raggiunta di un risultato concreto che assecondi tutte quelle promesse che finora è risultato impossibile mantenere. 

I professori si sono dimostrati orgogliosi di aver istruito studenti con questi ideali di uguaglianza: la loro lotta è stata interpretata come uno schierarsi contro la didattica a distanza perché ancora troppo elitaria per un cospicuo numero di giovani menti che, nella peggiore delle ipotesi, come testimoniano ultimi dati, saranno costrette a rinunciare a un loro diritto inalienabile, il diritto all’istruzione. 
Foto di Joseph Mucira da Pixabay


Ritengo sia una tematica piuttosto complessa da affrontare, dal momento che spesso mi trovo a sostenere tesi contraddittorie, frutto delle molteplici sfaccettature che la problematica mostra in questo periodo di emergenza sanitaria. Per quanto la didattica a distanza rappresenti una potenzialità per chi dispone dei mezzi necessari, è bene riflettere sulla situazione di chi è meno fortunato. Mentre una parte di me non sostiene questo movimento perché considera il ritorno a scuola pericoloso e forse ancora troppo disorganizzato, comprendo come per molti la scuola non sia scontata, bensì costituisca un privilegio. 

Devo anche ammettere che in questa protesta, di cui la lettera inviata al ministro dell’istruzione Azzolina è diventata manifesto, ho notato un velo di egoismo: si percepisce, nelle loro parole, una scuola violata nel suo aspetto di socializzazione e non tanto di istruzione. In questo momento difficile vi sono priorità: un gap culturale, con la buona volontà, può essere colmato, ma la perdita della vita umana non ha rimedio. Le statistiche affermano che sui tamponi effettuati ai ragazzi, in Piemonte, 1 su 5 risulta positivo e, ormai, la giovane età non significa immunità. 

Non conosco nessuno che abbia aderito a questo movimento, anche perché molti istituti hanno concretamente investito i fondi dallo stato nell’acquisto di device funzionali al fine di garantire la didattica a tutti. 

In questi mesi, viene messo in dubbio un futuro di per sé già incerto: non ci è possibile vivere i nostri anni migliori a pieno in un’età che, purtroppo, non conosce la pazienza. Al momento ci sentiamo quasi imbrogliati da questa ricaduta in una situazione già vissuta, non riusciamo più a vederne un’uscita vicina portata dalla bella stagione, ma abbiamo bisogno di una maturazione personale che ci renda più consapevoli ed empatici nei confronti di chi si ritrova a gestire una situazione che difficilmente avremmo immaginato.

A cura di Camilla Camusso, IV C

Riflessioni sul ritorno alla DaD

I computer si riaccendono e ci ritroviamo a rivivere il passato: a seguito delle nuove disposizioni dettate dall’ultimo dpcm del Presidente del Consiglio Conte, la scuola in presenza rimane accessibile alle classi inferiori alla seconda media. 

Vorrei proporre una riflessione: come mai l’Italia ha preso provvedimenti di chiusura sulla scuola quando, negli altri Stati, si sono concentrati sul precludere ambienti secondari lasciando aperto il luogo dove il diritto all’istruzione viene realizzato? Veniamo dunque a descrivere la situazione che noi studenti abbiamo vissuto per soli due mesi: entrati in classe ci trovavamo limitati in quattro pallini rossi che segnavano la posizione esatta e non modificabile dei nostri banchi distanziati. Alla prima ora ci veniva consegnata una mascherina nuova, rinnovata quotidianamente a ogni studente dell’istituto: il bene, che fino a poco tempo prima ci conquistavamo in una corsa alla ricerca del modello più sicuro per la salute di ognuno di noi - e che nessuno ci assicura sarà disponibile per molto -, all’uscita dalle lezioni, giaceva abbandonato sul marciapiede che ne risultava coperto. Era evidente il forte impatto ambientale dettato da questo provvedimento ministeriale. L’orario scolastico era dilatato in sette unità orarie e la tensione dovuta a una situazione di continua incertezza non contribuiva a farci vivere con maggiore serenità il contesto scolastico, sicuramente piegato dal Covid19. Era preclusa ogni possibilità di movimento: diversi istituti, non disponendo di una propria palestra, hanno dovuto rinunciare alle lezioni di educazione fisica e l’unico spostamento consentito era andare in bagno, sempre muniti di mascherina. In tutti noi era viva la speranza, ma a metà ottobre siamo giunti a una difficoltà tale da non riuscire più a evitare la DaD. 
Foto di mohamed Hassan da Pixabay


Durante la prima quarantena abbiamo tutti avuto modo di esplorare il complesso mondo delle piattaforme online, della condivisione di file, dello sviluppo di rapporti interpersonali attraverso uno schermo, tutte novità che ci hanno aperto le porte di una società a cui la digitalizzazione ci sta conducendo. 

Io ho sempre considerato la didattica a distanza come una grande opportunità: mi è sempre piaciuto studiare e ho sempre desiderato applicarmi con passione, ma dividendomi tra mille impegni, mi risultava difficile affrontare i programmi di studio in modo completo e approfondito. Ora, come anche a marzo, ho la possibilità di organizzare il mio tempo non solo per arricchire giorno dopo giorno il mio bagaglio culturale, ma anche la mia persona. Dopo un iniziale momento di sconforto nel sentire numeri sempre più alti e che riportavano alla mia mente le immagini dell’ultimo periodo di quarantena - particolarmente difficile - ho deciso nuovamente di non lasciarmi trascinare in un turbinio di pensieri negativi che, spesso, sono una grande limitazione che ci imponiamo noi stessi. Non mi definisco né ottimista né pessimista per quanto riguarda l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, ma continuo ad avere fiducia in un’umanità che si rialzerà più consapevole. Io credo che nella frenesia di tutti i nostri problemi e di un mondo a cui non riusciamo a tenere il passo, la sopraffazione possa essere metabolizzata e compresa se si ha una maggiore conoscenza delle proprie possibilità e capacità, elementi che solo fermandoci per un attimo e riflettendo possiamo sviluppare. 

Questo nuovo tipo di didattica a cui tutti in breve tempo ci siamo dovuti adattare non potrà mai sostituire l’esperienza di una realtà scolastica vissuta in presenza: è bene ricordare che la scuola non ci cresce solo come studenti e futuri lavoratori, ma anche come uomini e donne, coscienti della realtà che li circonda. La scuola è un nostro diritto, studiare è un nostro dovere, vivere con consapevolezza una nostra decisione.

A cura di Camilla Camusso, IV C

Recensione del libro TORNA DA ME

Torna da me 

“Quanto ci si può sentire soli? Sicuramente più di quanto il nostro cuore da solo possa sopportare. È allora che si corre a raccontare tutto a qualcuno. Scriverò tutto a te, mamma. Anche se non ci sei più. Queste mie lettere non saranno solo per ritrovarti. Ho bisogno di te. Perché anche Gabriele ora è lontano. Aiutami a riportarlo indietro”. 

Inizia in questo modo la testimonianza di Valentina Barbera, scrittrice e mamma di due bambini di cui uno, Gabriele, autistico. La sua storia è contenuta nelle pagine del libro Torna da me, casa editrice Paoline Editoriale libri, 2020, pag. 144. 


La giornalista e scrittrice Manuela Caracciolo afferma, durante la presentazione del libro tenutasi il 25 settembre 2020 presso il bar Mazzetti, che non si tratta di un romanzo, che si scrive con il cuore, e nemmeno di un saggio che si scrive con la mente. In quanto testimonianza è scritta con l’anima, l’anima di una donna che con la sua famiglia ha intrapreso un viaggio difficile, su una zattera fatta di tenacia e speranza, flessibilità e capacità di riemergere dalle onde. Una volta ottenuta la diagnosi, alla famiglia di Gabriele si sono aperte decine di porte degli studi di terapia considerati più competenti, ma nessuno era adatto. La scrittrice con il marito cercavano una figura che è stata soddisfatta della dottoressa Maria Etta Cavallini, anche lei intervistata durante la presentazione. La terapista interviene: “Valentina vuole che questo figlio torni da lei, ma secondo me non se ne è mai andato. Questo libro è, di certo, un inno alla vita e lei stessa, come genitore, mi ha insegnato delle cose. Innanzitutto a dare ascolto ai genitori che conoscono la vera dimensione di quello che il bambino sta vivendo quotidianamente. La terapia senza una collaborazione da parte dei genitori è inutile e spesso viene vista come elemento di riempimento per tutti quei momenti di vuoto che lo sconforto a causa della malattia provoca. Valentina, tuttavia, ha anche colmato questi silenzi con un amore sorprendentemente travolgente.”. Lentamente, la scrittrice intuisce che in ogni situazione dolorosa è racchiusa un’opportunità. Comincia, dunque, a scrivere delle lettere alla madre venuta a mancare, ma che ora avverte vicina. La scrittura risulta al tempo stesso un modo per dare libero sfogo ai propri pensieri e stati d’animo e per chiedere un aiuto a far tornare Gabriele dal silenzio di cui sembra prigioniero. Alessandro Borio, nella prefazione, scrive parole colme di sentimento e solidarietà nei confronti della famiglia di Valentina Barbera: “Torna da me è una strada per esplorare e dialogare con il mondo dell’autismo, un lavoro in cui calarsi in punta di piedi e col rispetto dovuto a chi ci apre le porte del suo cuore per regalarci un po’ di speranza. Perché la speranza è liquida e fluisce nelle anime che non sono impermeabili”.

A cura di Camilla Camusso, IV C

Un saluto ad Anna



Oggi è una giornata triste per tutti noi che amiamo il nostro Liceo che è, prima che una scuola, un insieme di persone che lavorano, studiano, si aiutano tra loro. Oggi è scomparsa Anna, la nostra bidella del piano terra, Anna che sapeva unire la fermezza nel trattare i ragazzi con la comprensione per loro e per noi docenti; Anna che, minuta dietro il bancone dell'atrio, ti accoglieva alle 7.30 del mattino e ti salutava quando uscivi; Anna che scuoteva la testa quando le dicevo che ero appena andata a correre (e fuori stava nevicando...) e confabulava con mia mamma quando veniva a recuperare dei libri che non mi servivano più. 

Anna mancherai a tutti noi, agli allievi di oggi e di ieri che già mi chiedono quando potranno venire a salutarti per l'ultima volta. Il rammarico di non vederti da mesi ci affligge ancora di più, per non averti potuto salutare con un sorriso... Ciao, Anna, ti vogliamo bene!

A cura di Cinzia Zenzon

martedì 8 dicembre 2020

CONFERENZE ALFIERIANE

 CONFERENZE ALFIERIANE

Martedì 15 Dicembre, dalle 14,30 alle 16,30, prenderà il via il primo appuntamento con le Conferenze Alfieriane, promosse dal Liceo Classico "V. Alfieri" in collaborazione con la dott.ssa Carla Forno, direttrice della Fondazione Centro Studi Alfieriani e studiosa appassionata delle opere del tragediografo astigiano.

L'iniziativa è rivolta agli studenti e docenti delle classi quarte del Liceo Classico e sarà dedicata alla "Vita" di Vittorio Alfieri, di cui è stata recentemente curata dalla stessa direttrice del Centro Studi Alfieriani una nuova edizione commentata.
Al primo incontro seguiranno, nel mese di gennaio, altre due conferenze, dedicate alle Satire di Alfieri e a una tragedia, l'Antigone, realizzate in collaborazione con la dott.ssa Forno e giovani studiosi alfieriani.


All'incontro, su prenotazione tramite link, potranno partecipare anche appassionati di Alfieri esterni all'Istituto, iscrivendosi all'apposito form qui riportato:  https://forms.gle/xq3F6cvDsY5gcLs87 


a cura di Rossana Levati

 APPUNTAMENTO AL PRIMO INCONTRO DI ORIENTAMENTO DELL' ISTITUTO "V. ALFIERI"

Si svolgerà sabato 12 Dicembre la prima iniziativa di orientamento on-line dell' Istituto "V. Alfieri", dedicata ai giovani delle scuole secondarie di primo grado e alle loro famiglie, per presentare gli indirizzi di studio e le caratteristiche delle tre scuole (Liceo Classico, Artistico e Istituto Professionale).
Genitori e alunni potranno accedere, tramite apposito link, all'incontro virtuale e assistere dalle ore 15 alle 17 alla presentazione dell' Istituto professionale, dalle ore 15 alle ore 18 alla presentazione del Liceo Artistico e dalle ore 16 alle ore 18 alla presentazione del Liceo Classico.

La Dirigente presenterà l'offerta formativa delle tre scuole, i docenti illustreranno i vari ambiti disciplinari, gli sbocchi disciplinari e le iniziative di supporto allo studio realizzate;  si potranno vedere brevi video di presentazione delle attività didattiche degli studenti e dei percorsi formativi, oltre che presentazioni di ex-alunni e di alunni ancora in corso.
I docenti dell'Istituto saranno inoltre a disposizione di genitori e alunni, per rispondere a domande e risolvere dubbi sulla scelta dell'indirizzo del prossimo percorso di studio.

Il secondo appuntamento dedicato a genitori e studenti si svolgerà il 16 Gennaio 2021, sempre a partire dalle ore 15.

venerdì 13 novembre 2020

Incontro con la Giuria Giovani di "Asti d'appello"

Nato nel 2009, il Premio "Asti d'appello" riscatta gli scrittori, prima selezionati e poi 'bocciati' dalle giurie dei premi nazionali, rimettendoli in gara una seconda volta. Da quella data gli studenti del Liceo Classico partecipano, insieme a quelli degli altri Istituti Superiori della città in qualità di Giuria Giovani che, insieme alla Giuria dei lettori e a quella costituita da uomini e donne di legge, contribuiscono ad eleggere il vincitore.


In questo anno così particolare, l'incontro tra i giovani lettori e i giornalisti de La Stampa Elisa Schiffo e Carlo F. Conti si è svolto online con il coordinamento della Direttrice della Biblioteca Astense “Giorgio Faletti” Donatella Gnetti. Hanno partecipato a questo incontro le insegnanti del Liceo Classico "V. Alfieri", la prof.ssa Cinzia Zenzon, del Liceo Scientifico "F. Vercelli", la prof.ssa Giovanna Amerio e dell'Istituto "G. A. Giobert", la prof.ssa Lorena Conti, accompagnate dal seguito dei loro studenti. La nostra rappresentanza, in particolare, è costituta da diciassette allievi delle classi VC, IV B e III B che, nel corso dell'intervista di venerdì 13 Novembre 2020, hanno espresso i loro pareri e le loro impressioni sui libri letti. Quest'anno il parterre degli scrittori in gara era costituto da sette autori che si sono cimentati in gialli (contemporanei o storici), biografie, autobiografie e romanzi drammatici. 

Tra i romanzi che hanno suscitato un particolare interesse tra i nostri studenti ricordiamo:


"Il guardiano della collina dei ciliegi" di Franco Faggiani che Francesca Fabris, studentessa della IVB, definisce <<piacevole per la descrizione naturalistica: dai paesaggi del villaggio natio del protagonista a quelli della maturità, contrapposti al mondo occidentale in cui egli fatica ad entrare>>. Marco Mingrone, studente della VC, pur avendo trovato il racconto della vicenda piuttosto prolisso, ha apprezzato <<il senso di calma che il protagonista ricerca per tutta la vita e che trova proprio quando rimane solo a fare il guardiano della collina dei ciliegi>>.



Altro romanzo apprezzato dagli studenti del Liceo Classico è stato

"Il gioco degli dei" di Paolo Maurensig, che sembra, come sottolinea ancora Francesca Fabris, <<raccontare la stessa vicenda di formazione del romanzo precedente: l'umile che viene incaricato di rappresentare il suo Stato - Giappone e India, rispettivamente - ma che, giunto in Occidente, non vuole perdere la propria identità>>. 

Nella classifica di gradimento dei nostri allievi troviamo ancora "Almarina" della scrittrice Valeria Parrella, romanzo che Ilaria D'Antona, V C, rimpiange di non aver avuto tempo di leggere una seconda volta per cogliere appieno il significato del flusso dei pensieri della coprotagonista, l'insegnante che si occupa della giovane ragazza detenuta in carcere.


Riccardo Glinac, V C, ammette che <<in poche pagine l'autrice ha saputo approfondire in maniera mirabile il carattere delle due donne>>.

Domenica 22 Novembre 2020 si terrà in diretta streaming la Finale del premio in cui i sette scrittori proveranno a convincere la Giuria dei togati del valore dei loro prodotti letterari: intanto hanno conquistato i ragazzi, l'impresa più complessa!


A cura di Cinzia Zenzon




sabato 31 ottobre 2020

Premiazione Digital Info Hunt

Ieri, venerdì 30 Ottobre 2020, si è svolta in modalità online la premiazione del concorso Digital Info Hunt, un progetto realizzato di concerto con la Direzione Generale per gli ordinamenti scolastici e per la valutazione del sistema nazionale di istruzione del Ministero dell’Istruzione, all’interno dell’Azione #15 del Piano Nazionale Scuola Digitale, organizzato dal Liceo Scientifico e Classico statale “Peano-Pellico” di Cuneo. 

Si è trattato della prima edizione nazionale della competizione dal titolo “DIGITAL INFO HUNT – 90 minuti di caccia in rete”, una gara basata sulla ricerca intelligente di dati e informazioni in rete, volta a sviluppare nuove competenze nel campo della verifica dell’attendibilità dei siti e della veridicità delle notizie. Per il Liceo Classico ha partecipato una squadra costituita da quattro allievi della classe IV B: Carlotta Rocatti, Francesca Fabris, Alessandro Merlone, Agnese Pagliarino. 

I quattro studenti hanno affrontato una una gara di qualificazione, aperta a tutte le squadre iscritte, costituita da due prove distinte, al termine delle quali le squadre hanno sommato i punteggi, mercoledì 14 ottobre 2020 e mercoledì 21 ottobre 2020, preceduta da una sessione di prova martedì 6 ottobre 2020 e una gara finale, riservata alle squadre meglio classificate mercoledì 28 ottobre 2020. La nostra squadra è arrivata diciannovesima nella prova di qualificazione, quindi ha rimontato alcune posizioni aggiudicandosi il tredicesimo posto nel corso della prova finale. 

I componenti della squadra hanno lavorato ciascuno dalla propria abitazione avvalendosi della piattaforma attivata dal nostro Istituto Teams di Office 365 che ha consentito loro di visionare contemporaneamente le domande grazie alla condivisione dello schermo dal momento che solo un componente della squadra (nel nostro caso la capitana è stata Carlotta Rocatti) poteva accedere con le credenziali alla piattaforma. Le domande sono cresciute di numero di prova in prova pur nello stesso tempo a disposizione (un'ora e mezza), ma i nostri ragazzi, pur non abituati a tale tipo di lavoro, non si sono scoraggiati e, ciascuno con le risorse che aveva a disposizione, ha dato il suo contributo a rispondere alle domande rintracciando le notizie nella rete e verificando quali di esse fossero delle fake news.

Durante la cerimonia di premiazione di venerdì 30 Ottobre i ragazzi hanno scoperto di essere arrivati tredicesimi: "Io personalmente sono soddisfatta, visto che non ci si poteva preparare in alcun modo", afferma Carlotta Rocatti. E ne ha tutti i motivi, visto che la nostra squadra si è aggiudicata un Micro Bit per ogni componente che verrà recapitato a scuola nei prossimi giorni. Complimenti alla nostra squadra e speriamo che, come ha affermato il Dirigente Scolastico del Liceo Cuneo Alessandro Parola, si possa organizzare una nuova edizione in primavera: certamente la nostra squadra sarà ancora più agguerrita! 

Questo risultato è indice del fatto che i nostri ragazzi stanno acquisendo, pur in un periodo difficile per noi tutti e di didattica a distanza, quelle competenze di cittadinanza digitale auspicate dalle recenti direttive del Ministero: bravi, ragazzi!

a cura di Cinzia Zenzon

domenica 25 ottobre 2020

LA DISCUSSIONE CONTINUA, DA NUOVI PUNTI DI VISTA

Ecco le riflessioni sulla stessa questione di altre due alunne di V A: Emma Monticone prova ad assumere un punto di vista diverso, ispirato al criterio dell'utile collettivo in situazioni eccezionali per tutti; Francesca Berruti invece riflette sul diritto del paziente a ricevere cure, in qualunque situazione sanitaria si trovi.

Pro Helvetia (e non solo)


Così si fa, brontolava Malpelo; gli arnesi che non servono più, si buttano lontano”.

Le parole che Verga fa pronunciare a Rosso Malpelo nell’omonimo racconto ci appaiono particolarmente attuali, in questo momento: da qualche ora, infatti, è stata pubblicata su numerosi giornali la notizia che la Svizzera ha deciso di negare la rianimazione agli anziani malati di Coronavirus.
Foto di Jills da Pixabay 

Gli anziani sembrerebbero essere quindi considerati quasi degli scarti, qualcosa che non è più utile per la società e che può essere quindi sacrificato.

Molti stanno già iniziando ad esprimere il loro disappunto riguardo a questo provvedimento, accusando lo stato elvetico di star violando il diritto alla salute, negando il trattamento sanitario ad alcune persone, e in alcuni casi i medici stessi di star tradendo il giuramento di Ippocrate.

Quello di cui, però, mi sembra si stiano dimenticando coloro che criticano il nuovo protocollo svizzero è che ci troviamo nel bel mezzo di una pandemia, che la situazione sta (purtroppo) peggiorando ogni giorno di più e che in Svizzera il rapporto di casi ogni centomila abitanti è nettamente superiore a quello di tutti gli altri stati con cui confina.

Inoltre, le scelte che a breve potrebbero trovarsi ad affrontare i medici svizzeri sono esattamente le stesse di fronte alle quali si sono trovati di fronte i medici italiani questa primavera, durante la prima ondata di Coronavirus.

L’unica differenza sta nel fatto che, mentre in Svizzera i medici avranno per lo meno un protocollo ufficiale, delle regole, a cui attenersi e su cui fare affidamento nel fare queste terribili scelte, qui in Italia i singoli medici hanno dovuto prendersi la responsabilità e farsi carico del peso enorme di dover decidere chi salvare e chi no (con tutti i sensi di colpa che sicuramente ne saranno derivati) senza poter contare su alcun documento ufficiale che desse loro delle indicazioni precise sul criterio da adottare, delle garanzie o che li tutelasse.

Ovviamente il diritto alla salute è un diritto sacrosanto, a prescindere dall’età dell’individuo, ma credo che la situazione corrente giustifichi l’adozione di protocolli come quello della Svizzera, per il semplice fatto che se non si adottassero misure del genere, le perdite umane crescerebbero esponenzialmente.

Alla base della decisione presa dalla Svizzera (e delle scelte compiute dai medici italiani e non solo nei mesi passati) ritroviamo il principio della selezione naturale di Darwin, la legge del più forte, in base alla quale solo i più forti sopravvivono, mentre i più deboli sono destinati a morire (principio che è anche sotteso al racconto “Rosso Malpelo” di Verga, tra l’altro).

Ovviamente, in questo caso, non è la natura ad agire direttamente, ma l’uomo, che si trova a dover selezionare e “sacrificare” chi ha una minore aspettativa di vita in favore di chi, nel caso ricevesse le cure adeguate, sopravvivrebbe ancora a lungo.

In realtà, analizzando questo criterio di scelta in ottica leopardiana, si potrebbe fare anche un’altra considerazione, ovvero che chi, una volta curato “a discapito” di un’altra persona, sopravvivrà, avrà vissuto solo un po’ più a lungo, perché alla fine tutti siamo destinati, prima o poi, a morire.

E’ evidente nel finale del “Dialogo della Natura e di un Islandese” di Leopardi, in cui l’Islandese, secondo una delle due versioni della vicenda, viene sbranato da due leoni digiuni da tempo “che appena ebbero la forza di mangiarsi quell’Islandese […] e presone un poco di ristoro, si tennero in vita per quel giorno”.

Secondo la logica leopardiana, non avrebbe senso considerare una categoria della popolazione più sacrificabile delle altre, perché il destino di tutti è lo stesso ed è la morte, ma, considerando la situazione attuale, credo che seguire la logica darwiniana sia la cosa più ragionevole da fare: quando i reparti dei Pronto Soccorso si riempiono a tal punto e ad una tale velocità di persone che hanno bisogno di cure, vanno fatte delle scelte, perché semplicemente non c’è posto per tutti.

E’ ovvio che in circostanze normali i medici non sceglierebbero (e neanche si troverebbero nella posizione di dover scegliere) chi assistere e chi no, perché ciò significherebbe andare contro la propria morale, prima ancora del giuramento di Ippocrate, ma quella in cui ci troviamo, mi sembra chiaro, non è una circostanza normale.

Non voglio essere fraintesa: io sono assolutamente convinta che tutte le vite abbiano lo stesso valore, sia la vita di un anziano, sia la vita di un giovane, ma, nel momento in cui si è costretti a scegliere chi tentare di salvare e chi no, va presa una decisione razionale e quindi optare per la persona che ha più chance di sopravvivere.

Nessun uomo vorrebbe mai trovarsi nella situazione di doversi porre al posto della natura e decidere chi debba morire e chi, invece, possa continuare a vivere, ma il momento, purtroppo, sta arrivando; anzi, lo stiamo già vivendo.

Emma Monticone, classe V A


Il Coronavirus, le cure agli anziani e il Darwinismo nel 2020


Il periodo in cui ci troviamo è molto particolare e dobbiamo affrontare avvenimenti inattesi. Da otto mesi viviamo a contatto con il Covid-19, un virus che si è manifestato per la prima volta in Cina verso la fine del 2019 e si è diffuso rapidamente in tutto il mondo. La situazione, dopo la relativa tranquillità dell’estate, è tornata ad essere tragica, i contagi di ieri, venerdì 23 ottobre, in Italia sono stati 19143, la curva è dunque in continua crescita.

Nel resto del mondo le cose non vanno meglio. Hanno fatto scalpore le dichiarazioni di Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti d’America al termine del suo primo mandato, che ha proposto una “cura” a base di iniezioni di disinfettante. Ora arriva la Svizzera[1], che ha stabilito di negare l’accesso ai reparti di rianimazione agli anziani ammalati di coronavirus, per evitare un eccessivo sovraffollamento delle terapie intensive.
Foto di Gerd Altmann da Pixabay 


Il protocollo, elaborato dall’Accademia Svizzera delle Scienze Mediche e dalla Società Svizzera di Medicina Intensiva, è in vigore dal 20 marzo, anche se ufficialmente non è stato ancora adottato. Il documento, a pagina 5, riporta i profili dei pazienti che non dovrebbero essere ricoverati in terapia intensiva al livello B. Si tratta dei pazienti di età superiore agli 85 anni e di quelli di età superiore ai 75 anni, che abbiano malattie pregresse anche non a stadi molto gravi e una speranza di vita che si aggira intorno ai 24 mesi. I pazienti che non possono essere ricoverati al livello A sono, invece, i più gravi, i malati oncologici a cui non rimangono più di 12 mesi di vita e i pazienti affetti da malattie pregresse a stadi molto gravi o da malattie terminali.

I posti liberi nella terapia intensiva svizzera sono ora poco più di 6000, ma la malattia procede velocemente e presto i medici potrebbero trovarsi a fronteggiare la situazione che i medici bergamaschi hanno affrontato a marzo, quando anche in Italia la priorità era salvare i malati di coronavirus più giovani piuttosto che gli anziani, abbandonati a loro stessi senza le giuste cure palliative negli ultimi attimi della loro vita.

Il presidente dell’Ordine dei Medici svizzero, Franco Denti, difende la politica del proprio paese - nonostante abbia affermato che scegliere di rianimare una persona piuttosto che un’altra sia una scelta difficile per qualsiasi medico – sostenendo che molti pazienti potrebbero non volere essere sottoposti ad ulteriori cure, come quella a cui sono sottoposti i pazienti intubati in rianimazione, e questo documento potrebbe dunque essere utilizzato dai medici come garanzia della propria scelta.

Il protocollo svizzero appare troppo drastico. Ammesso che sia possibile fare scelte su chi curare in base alle aspettative di vita, l’orizzonte temporale individuato, da uno a due anni a seconda dei casi, sembra troppo lungo per poter essere considerato decisivo. Nessuno di noi può essere sicuro di essere vivo fra uno o due anni. Se si ragiona in questo modo, forse non dovrebbe essere curato nessuno.

Le affermazioni del documento vanno contro la deontologia professionale di un medico e il giuramento di Ippocrate che tutti i neodottori in medicina pronunciano al momento della laurea. Negare le cure ai pazienti solo perché anziani e sostenere di farlo in nome della loro libertà di scelta, come dice il dottor Denti, è un modo di arrampicarsi sugli specchi. È chiaro che il problema sia la disponibilità di posti. Ci si riferisce alla situazione con termini tipici della guerra, come “razionamento” – in questo caso dei ricoverati. Per il momento non ci si è ancora dovuti appellare al documento del 20 marzo. Denti aggiunge che le decisioni saranno prese dal comitato etico. Dal 20 marzo ad oggi sono passati sette mesi. In questo periodo, sapendo che ci sarebbe stata una seconda ondata, le autorità, comprese quelle svizzere, avrebbero potuto organizzarsi, proprio aumentando i posti in terapia intensiva, ma evidentemente non si è voluto farlo.

Questo ci porta ad una riflessione molto amara. Darwin nell’ Ottocento ha teorizzato l’evoluzione della specie e spesso il suo pensiero viene associato alla selezione naturale. La giraffa ha il collo lungo perché gli alberi da cui ricavare il cibo erano sempre più alti e il collo del cavallo era troppo corto per poter mangiare. Gli esemplari col collo più lungo sono quindi riusciti a sopravvivere, perché potevano arrivare ad una fonte di nutrimento ad altri non accessibile. La selezione naturale permette agli esemplari più forti e adattabili di ogni specie di sopravvivere. I dinosauri non avevano più le qualità fisiche per sopravvivere sulla terra che si era raffreddata e si sono estinti. Questa è selezione naturale. Le cure negate agli anziani sono una forma di selezione naturale che non può e non deve essere accettata da una società che si considera civile.

Mastro Misciu, padre di Malpelo nella novella del Verga, muore sotto una colonna di terra mentre svolge un lavoro pericoloso. Nessuno lo aiuta, nonostante abbia ancora una speranza di farcela. Lotta fino a consumarsi le mani per uscire dalla terra, ma nessuno, oltre al figlio, si dà da fare per lui.

Ogni vita è importante e ognuno di noi ha il diritto di fare di sé ciò che preferisce. Si è liberi di rifiutare la rianimazione come ogni forma di accanimento terapeutico, ma, se la decisione del paziente è provare fino all’ultimo a salvarsi, nessuno può intromettersi.

I medici hanno il dovere di lottare fino all’ultimo per salvare un paziente se questa è la sua volontà e un protocollo dovrebbe garantire le cure migliori per tutti e non andare contro i principi fondanti della deontologia professionale.


[1] v. “La Svizzera sceglie: rianimazione negata agli anziani malati di coronavirus”, La Stampa https://www.lastampa.it/esteri/2020/10/24/news/la-svizzera-sceglie-rianimazione-negata-agli-anziani-malati-di-coronavirus-1.39453134

 Francesca Berruti, classe V A

sabato 24 ottobre 2020

LE FRONTIERE DELL'UMANITA': RIFLESSIONI IN TEMPO DI PANDEMIA

Ecco le riflessioni di Lorenza Gerbo, Classe VA, sollecitate dagli episodi di cronaca degli ultimi mesi e dalle recenti notizie sulle scelte etiche in Svizzera nella cura dei malati di Covid, collegate a una profonda riflessione sugli autori e le problematiche affrontate nell'ambito della letteratura italiana in questa prima fase dell'anno scolastico

COVID-19: UN DEJA VU DEL DARWINISMO 

42,2 milioni sono gli uomini che hanno contratto il covid-19 nel mondo, 1,14 milioni di persone sono morte. I numeri continuano a salire vertiginosamente: solo in Italia il 23 ottobre sono stati registrati 19.143 nuovi contagi e 91 morti.

Nell'arco di pochi mesi la nostra quotidianità è stata completamente stravolta da questo minuscolo virus che è in grado di sconvolgere e distruggere milioni di vite. È un virus crudele che non guarda in faccia alle vittime, bambini, giovani e anziani, proprio come la potente Natura, descritta da Leopardi nel "Dialogo della Natura e di un Islandese" (Operette Morali, XII), che spiega al viaggiatore la propria noncuranza nei suoi confronti: essa è completamente indifferente alle sorti dell’uomo, lo osserva senza far nulla per migliorarne le condizioni di vita perché pensa che le persone siano una piccola parte di un immenso meccanismo e che quindi siano, come tutti gli altri esseri viventi, destinati a nascere e morire, impotenti di fronte a sé stessa, infinitamente più grande e potente. A distanza di secoli, ci ritroviamo a vivere la stessa condizione dell’Islandese poiché tutti ci stiamo rendendo conto di quanto siamo inermi di fronte a questo minuscolo, ma potentissimo virus.
Foto di Gerd Altmann da Pixabay 

Un barlume di speranza, però, ci viene dato dai dottori che ogni giorno cercano di fare il possibile per sconfiggere il coronavirus, salvando le vite di chi purtroppo si ritrova a dover lottare contro questo mostro. In questi giorni in cui tutte le certezze vacillano, non siamo nemmeno più certi di poter avere l’appoggio dei medici: la Svizzera, infatti, ha dichiarato che verranno negate le cure in terapia intensiva alle persone affette da covid-19 con più di 85 anni di età e a coloro che superano i 75 e aventi altre patologie. I medici, in Svizzera, dovranno scegliere chi salvare e chi, con alte probabilità, vista l’anziana età, condannare a morte.

A questo punto mi sorgono spontaneamente delle domande: la vita di un uomo giovane ha più valore di quella di un anziano? L'uomo cos’è? Una risorsa o un essere umano? Credo che la Svizzera veda gli uomini come pure risorse e che per questo motivo di fronte a un giovane e un anziano scelga di salvare il primo perché quest’ultimo è più utile allo stato. 

Ora mi chiedo, siamo tanto distanti dal darwinismo sociale del XIX secolo? No, anzi, ci siamo completamente dentro perché stiamo decidendo chi ha diritto di vivere e chi no. Il pensiero del naturalista Darwin, secondo cui sopravvive la specie più forte e la più debole soggiace, nel ‘900 ha dato vita al darwinismo sociale che ha portato a credere che gli uomini di colore, gli ebrei, gli omosessuali e tante altre persone fossero inferiori e che, quindi, dovessero soccombere. Oggi, se pensiamo ai campi di concentramento, alle persecuzioni razziali e omofobe rabbrividiamo, ma ci rendiamo conto che decidendo chi curare e chi no stiamo cadendo nelle stesse atrocità del passato? Non esistono “razze” migliori esattamente come non vi sono persone più degne di vivere di altre. 

Che n’è stato dei principi della rivoluzione francese: liberté, egalité, fraternité? Dopo anni di lotta per l’uguaglianza ci ritroviamo a decidere chi assistere e chi no, creando una netta disuguaglianza sociale.

Di fronte a tanto cinismo e indifferenza, realizzo che le parole di Rosso Malpelo che credevo tanto distanti da me, invece sono più vicine di quanto pensassi. Malpelo, nella novella Rosso Malpelo, di Verga, dice: “l’asino va picchiato, perché non può picchiar lui; e s’ei potesse picchiare, ci pesterebbe sotto i piedi e ci strapperebbe la carne a morsi”. Con questa frase Malpelo, sostenendo che il più forte non sbaglia a picchiare il più debole, sta cercando di dire le stesse cose di Darwin. La lotta per la vita c’è a tutti i livelli perché tutti continuamente cercano di imporsi. Noi, scegliendo chi curare stiamo mettendo da parte i “più deboli”, ma è giusto?

Voglio appellarmi alle vostre coscienze. Pensate che tra le persone a cui potrebbe essere negata una cura potrebbe esserci un vostro parente o amico o una qualsiasi persona che semplicemente non è più una “risorsa utile”. Abbiamo lottato tanto per essere giudicati sulla base del nostro valore come individui e ora permettiamo di essere visti come semplici macchine? 

Non pensiamo egoisticamente, ragioniamo con la coscienza per evitare di far vivere a persone innocenti le stesse atrocità subite nel passato da persone che, come tutti noi, volevano solo vivere. Concludo con la frase diventata lo slogan della lotta contro il razzismo nel 2020, ma che ha validità universale: all lives matter (“tutte le vite contano”).

Lorenza Gerbo, classe V A