mercoledì 9 dicembre 2020

Riflessioni sul ritorno alla DaD

I computer si riaccendono e ci ritroviamo a rivivere il passato: a seguito delle nuove disposizioni dettate dall’ultimo dpcm del Presidente del Consiglio Conte, la scuola in presenza rimane accessibile alle classi inferiori alla seconda media. 

Vorrei proporre una riflessione: come mai l’Italia ha preso provvedimenti di chiusura sulla scuola quando, negli altri Stati, si sono concentrati sul precludere ambienti secondari lasciando aperto il luogo dove il diritto all’istruzione viene realizzato? Veniamo dunque a descrivere la situazione che noi studenti abbiamo vissuto per soli due mesi: entrati in classe ci trovavamo limitati in quattro pallini rossi che segnavano la posizione esatta e non modificabile dei nostri banchi distanziati. Alla prima ora ci veniva consegnata una mascherina nuova, rinnovata quotidianamente a ogni studente dell’istituto: il bene, che fino a poco tempo prima ci conquistavamo in una corsa alla ricerca del modello più sicuro per la salute di ognuno di noi - e che nessuno ci assicura sarà disponibile per molto -, all’uscita dalle lezioni, giaceva abbandonato sul marciapiede che ne risultava coperto. Era evidente il forte impatto ambientale dettato da questo provvedimento ministeriale. L’orario scolastico era dilatato in sette unità orarie e la tensione dovuta a una situazione di continua incertezza non contribuiva a farci vivere con maggiore serenità il contesto scolastico, sicuramente piegato dal Covid19. Era preclusa ogni possibilità di movimento: diversi istituti, non disponendo di una propria palestra, hanno dovuto rinunciare alle lezioni di educazione fisica e l’unico spostamento consentito era andare in bagno, sempre muniti di mascherina. In tutti noi era viva la speranza, ma a metà ottobre siamo giunti a una difficoltà tale da non riuscire più a evitare la DaD. 
Foto di mohamed Hassan da Pixabay


Durante la prima quarantena abbiamo tutti avuto modo di esplorare il complesso mondo delle piattaforme online, della condivisione di file, dello sviluppo di rapporti interpersonali attraverso uno schermo, tutte novità che ci hanno aperto le porte di una società a cui la digitalizzazione ci sta conducendo. 

Io ho sempre considerato la didattica a distanza come una grande opportunità: mi è sempre piaciuto studiare e ho sempre desiderato applicarmi con passione, ma dividendomi tra mille impegni, mi risultava difficile affrontare i programmi di studio in modo completo e approfondito. Ora, come anche a marzo, ho la possibilità di organizzare il mio tempo non solo per arricchire giorno dopo giorno il mio bagaglio culturale, ma anche la mia persona. Dopo un iniziale momento di sconforto nel sentire numeri sempre più alti e che riportavano alla mia mente le immagini dell’ultimo periodo di quarantena - particolarmente difficile - ho deciso nuovamente di non lasciarmi trascinare in un turbinio di pensieri negativi che, spesso, sono una grande limitazione che ci imponiamo noi stessi. Non mi definisco né ottimista né pessimista per quanto riguarda l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, ma continuo ad avere fiducia in un’umanità che si rialzerà più consapevole. Io credo che nella frenesia di tutti i nostri problemi e di un mondo a cui non riusciamo a tenere il passo, la sopraffazione possa essere metabolizzata e compresa se si ha una maggiore conoscenza delle proprie possibilità e capacità, elementi che solo fermandoci per un attimo e riflettendo possiamo sviluppare. 

Questo nuovo tipo di didattica a cui tutti in breve tempo ci siamo dovuti adattare non potrà mai sostituire l’esperienza di una realtà scolastica vissuta in presenza: è bene ricordare che la scuola non ci cresce solo come studenti e futuri lavoratori, ma anche come uomini e donne, coscienti della realtà che li circonda. La scuola è un nostro diritto, studiare è un nostro dovere, vivere con consapevolezza una nostra decisione.

A cura di Camilla Camusso, IV C

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