domenica 20 febbraio 2022

"HOMO SUM": LA CONFERENZA DEL PROF. M. BETTINI SUI DIRITTI UMANI NEL MONDO CLASSICO E MODERNO

 

“Homo sum”: un dibattito sui diritti umani nel mondo classico e moderno al Liceo Classico “V. Alfieri”

Il 16 Febbraio alcune classi del Liceo Classico “V. Alfieri” di Asti hanno aderito alla videoconferenza “Homo sum” tenuta dal filologo e accademico Maurizio Bettini, saggista e fondatore del Centro Antropologia del Mondo Antico dell’Università di Siena, che ha presentato il suo recente libro sull’argomento dei diritti e sul concetto di “umanità” e solidarietà nel mondo classico.
La conferenza fa parte di un vasto palinsesto di iniziative di approfondimento su percorsi di discriminazione, razzismo ed eventi storici e culturali legati ad aspetti della società e cultura classica e contemporanea.

Guidati dalle parole dello studioso, abbiamo avuto modo di riflettere sulle tematiche del razzismo e della schiavitù presso le civiltà classiche, greca e latina.



  E’ stato interessante, infatti, scoprire come già i romani praticassero la schiavitù considerandola una usanza naturale. Il professore ha spiegato come tale consuetudine sia nata da un fenomeno sociale; gli schiavi nell’antichità erano principalmente i prigionieri di guerra, quindi gli stranieri.
Anche i greci, inoltre, hanno trattato spesso l’argomento: il filosofo Aristotele riteneva che alcuni uomini nascessero per essere liberi, altri per essere schiavi; come le persone avevano il dominio sugli animali, gli uomini sulle donne, così doveva essere anche per alcune categorie di persone verso altre. Il professore ha poi analizzato le caratteristiche della schiavitù moderna, che a differenza di quella praticata dai popoli antichi, è basata spesso sul colore della pelle o sulle diverse origini delle persone, ovvero è portata da una disumanizzazione delle razze, come avvenne durante il commercio degli schiavi africani o il genocidio degli ebrei nel corso della Seconda Guerra Mondiale.
I romani ritenevano che fosse la volontà divina a scegliere chi salvare e chi invece far cadere prigioniero durante le guerre; diventare schiavo era perciò una punizione data dal cielo per atti negativi compiuti e per uno scorretto comportamento religioso: neppure l’avvento del Cristianesimo ha interrotto questa “comoda” giustificazione delle discriminazioni e della schiavitù.

Lo straniero, nel mondo antico, però, non era sempre considerato negativamente e trattato con ostilità. Per esempio, chi arrivava da terre lontane non per ragioni di guerra non era percepito come nemico - “hostis” - ma come un forestiero - “peregrinus” - e questo permetteva di essere trattati con ospitalità. I romani e i greci, infatti, sentivano forte il dovere di aiuto verso gli stranieri in viaggio; l’ospitalità verso il prossimo era un atto sacro agli
dei.
La riflessione è giunta poi a considerare quanto sia invece facile oggi abbandonare o ignorare le richieste di aiuto di profughi, fastidiosamente respinte come se non ci riguardassero, come se aiutare il prossimo togliesse qualcosa a noi.
Allora il prof. Bettini ci ha guidati a una riflessione accurata su quanto accadeva nel mondo antico, illuminando la sua spiegazione con una famosa frase di una commedia di Terenzio, “Homo sum, humani nihil a me alienum puto”, che un personaggio dice a un suo vicino di casa al quale chiede i motivi della sua sofferenza. Per giustificare la sua intrusione, che può sembrare curiosità, dichiara appunto: “Sono un uomo: nulla di ciò che accade a un altro uomo mi è estraneo”.
Proprio così abbiamo capito che a volte la curiosità, che ci porta ad aprirci agli altri, è invece la base di una sana solidarietà, perché come dice Terenzio e come dirà dopo di lui il filosofo Seneca, siamo uomini prima che cittadini di questo o quel paese, fatti come un arco di pietre che si sorreggono a vicenda, e portati dalla natura stessa alla solidarietà.
Il professore ha citato una storia, accaduta nel 2018 e raccontata anche in un articolo su “Repubblica”: in un pullman che viaggiava in Irpinia, sale un giovane rifugiato del Gambia, Omar, e le vecchiette locali gli chiedono come si chiama e dove sta andando, e dopo aver ascoltato la sua storia gli parlano dei loro mariti emigrati. Come ci spiega il professore, le vecchiette, incontrando il diverso, lo straniero, “non si sono voltate dall’altra parte, non sono scese dal pullman”, anzi hanno “ficcanasato” nella sua vita e hanno raccontato a lui la propria, in nome del principio dell’ “Homo sum” di cui parlano i latini. Certo nel mondo antico non sono mancate posizioni di maggior chiusura: se Virgilio nell’Eneide ci descrive i Troiani soccorsi generosamente da Didone, che li aiuta ospitandoli dopo un naufragio sulle coste della Libia perché lei stessa è profuga e conosce il dolore e quindi la pietà, invece il famoso Cicerone sembra essere più restio ad aiutare indiscriminatamente tutti, quando afferma che le risorse possono essere limitate, e allora è meglio aiutare “solo il vicino”, colui che appartiene alla nostra stessa razza o alla nostra stessa città. E questo, come il professore ci ha insegnato, può essere molto simile a chi limita gli aiuti agli Italiani, facendo diventare la frase uno slogan politico molto familiare alle nostre orecchie: “Prima gli italiani”.

A questi argomenti ha fatto seguito una discussione col professore, il quale ha dissolto dubbi e soddisfatto le curiosità degli studenti con chiarezza e competenza, spiegando la differenza tra lo schiavismo greco e quello romano: i Greci avevano un maggior disprezzo culturale verso gli stranieri, definiti “barbari” e considerati estranei alla loro cultura, mentre i Romani sono sempre stati più pronti ad integrare nella propria città i popoli conquistati, allargando la cittadinanza ad un numero sempre crescente di popolazioni a cui venivano estese leggi, lingua e cultura romana. Ma nel sistema politico romano la schiavitù era anche una istituzione ampiamente diffusa, e tutta l’economia romana aveva bisogno di un numero sempre maggiore di schiavi da utilizzare.
Nella discussione abbiamo capito che nessun paese organizza una democrazia perfetta, e in fondo la Roma che ha ampliato l’idea di cittadinanza a tutti i popoli conquistati ha anche fondato l’istituzione dello schiavismo: nel mondo moderno anche i paesi che si presentano come “la terra della libertà” e della fusione dei popoli, come gli Stati Uniti d’America, hanno avuto per molto tempo un sistema schiavistico e ancora oggi la storia dei neri d’America è una storia di disuguaglianze e di lotte, e la vera integrazione in nome della parità di diritti è ancora nella realtà faticosa da raggiungere.

Grazie a questa conferenza e alle parole del professor Bettini, noi studenti abbiamo capito come si possano imparare importanti insegnamenti dalla storia, sia dalle culture dei grandi popoli antichi sia dagli errori del passato, che ci può guidare nella interpretazione della nostra realtà contemporanea.

Giulia Boracco, classe 4A, e Gianmario Grasso, 3B

sabato 19 febbraio 2022

Il Liceo Classico partecipa alla prima iniziativa teatrale dell'anno del teatro Alfieri

 

Guido suonava il violino: una toccante ricostruzione teatrale



 

A quasi due anni precisi dall’infelice interruzione del progetto “Teatro scuola, Piemonte dal vivo”, avvenuto il giorno di San Valentino del 2020 in seguito alla rigidità delle norme anti-Covid, è stata messa in scena la prima rappresentazione teatrale affiliata a questa iniziativa, con la partecipazione di una componente artistica d’eccezione. Questo evento, come sottolineato dal sindaco Maurizio Rasero e successivamente ripreso dalla regista Patrizia Camatel, non solo ha rappresentato un punto di incontro tra le scuole e il teatro Alfieri, che mancava ormai da molto tempo, ma ha anche lanciato un chiaro messaggio di ripartenza ad ogni manifestazione artistica nell’astigiano. A partecipare alla rappresentazione teatrale sono state diverse classi provenienti dagli Istituti superiori di Asti, tra cui le classi 2A, 3C e 4C del nostro liceo, le quali hanno contribuito a restituire al teatro il fascino e la magica atmosfera che si erano andati lentamente a scemare in tempo di pandemia.

 Lo spettacolo, intitolato Guido suonava il violino, è una ricostruzione immaginifica della storia di una famiglia astigiana, vissuta ai tempi della Shoah, di cui si sono perse le tracce dopo la deportazione. Le sequenze narrative che si succedono durante la rappresentazione ruotano attorno ad un violino, oggetto a cui Guido Foà, bambino di questa famiglia ebrea, tiene molto. Questo strumento musicale, tuttavia, sembra essere animato: stride, geme e arriva all’improvviso nella vita di una giovane ricercatrice, supplicandola di ricordare e narrare la storia del suo vecchio proprietario. La storia prosegue poi con un alternarsi di flashback, presentati al pubblico attraverso veri e propri sogni della protagonista e sue riflessioni interiori, riuscendo perfettamente a creare un clima malinconico ed empatico. Nonostante la vicenda sia costellata da più di una decina di personaggi, ognuno con pregi, difetti e una caratterizzazione notevole che li distingue a livello umano l’uno dall’altro, la magistrale Elena Formantici, unica attrice presente sul palco, è riuscita ad interpretarli tutti, creando una sorta di monologo teatrale, ricco di sentimenti e angosce.

Tra i vari personaggi che sono stati presentati troviamo innanzitutto la protagonista, una ricercatrice dal carattere forte che vede la sua quotidianità sconvolta dall’arrivo di un oggetto misterioso a cui si sente legata, sebbene non sappia neanche come si tenga in mano lo strumento. In contrapposizione con la personalità della donna viene introdotta, attraverso ricordi del passato, il vero personaggio principale della vicenda, a cui è anche dedicato il romanzo a cui si ispira lo spettacolo, ovvero Guido, un bambino ebreo croato di otto anni, italianizzato durante la guerra a causa delle dure condizioni imposte dai fascisti agli abitanti della Dalmazia. Questa giovane creatura non sa cosa sia la guerra, non sa cosa si provi a portare il fardello di essere nato in una famiglia semita, poiché a lui interessa solo giocare spensierato con i suoi amici, cercando di inseguire il fantasma di un’infanzia che gli scivola dalle mani. La sua ingenuità, tuttavia, è ciò che gli permette, anche mentre viene trasportato in Polonia su un carro bestiame, di ricordare i momenti legati alle sue lezioni di violino col nonno Camillo, tenendolo allegro e proteggendolo dalla dura realtà che lo aspetta una volta sceso dal treno. Le figure più struggenti e sofferenti che compaiono sono, tuttavia, i genitori del piccolo Guido, Italo Foà ed Estella Luzzati, i quali, nonostante possiedano caratteri e personalità profondamente dissimili, sono attraversati dagli stessi dubbi e domande, ma soprattutto da un grande senso di sconforto, poiché si domandano per quale motivo vengano puniti, se la loro unica ‘colpa’ è quella di essere ebrei. Queste due persone emanano un comune senso di inquietudine e ci invitano a provare pietà per la loro condizione, ma in due modi diversi: la paura del padre si trasforma in rabbia e autocommiserazione, mentre quella della madre diventa rapidamente rassegnazione.

Dopo la rappresentazione, della durata di un’ora e mezza, l’attrice e la regista hanno lasciato mezz’ora di tempo agli alunni per porre eventuali domande riguardo al lavoro svolto, alla professione dell’attore e per esprimere i sentimenti che ognuno ha provato durante la messa in scena dello spettacolo.

                                                             A cura di Lorenzo Merlone, classe III C

lunedì 14 febbraio 2022

MNEME E DIKE: RIFLESSIONI SUL GIORNO DEL RICORDO E LA GIORNATA DELLA MEMORIA

 



27 Gennaio, Giornata della Memoria, dedicato a commemorare le vittime dell’Olocausto; 10 febbraio, giorno del Ricordo, dedicato alle vittime delle foibe, episodio della recente storia italiana.
Le iniziative nelle scuole si moltiplicano e si rinnovano ogni anno: il 26 Gennaio le classi del triennio dell’Istituto “V. Alfieri”, in occasione della Giornata della Memoria, hanno seguito due conferenze online con Bruno Maida ed Alberto Cavaglion,

mentre l’11 febbraio si è svolta la conferenza di Eric Gobetti, ricercatore dell’Istituto per la Storia della Resistenza di Torino e autore del volume “E allora le foibe?” edito da Laterza


Ma perché il nostro tempo ha bisogno di sottolineare e istituire le giornate dedicate alla Memoria di questi fatti recenti, in modo che Tempo e Storia non vadano dispersi e anzi si conservino nella mente delle generazioni? Vorremmo tentare una riflessione più ampia, partendo dal ruolo che ha la Memoria nella cultura classica.

Dike e Mneme, Giustizia e Ricordo, sono nel mito greco figlie di Zeus.
Non sono dunque esistite sempre sulla terra, ma esistite a partire dal suo regno che sostituisce le precedenti stirpe divine, più simili a potenze primigenie ed elementari.

Il senso della giustizia nella civiltà classica, come per altro nel mondo biblico, è strettamente connesso al legame tra i padri e i figli, a volte come una condanna che travalica la volontà e individualità del singolo, costretto a portarsi dietro come un fardello le colpe e i delitti dei padri o degli antenati. Non un DNA biologico, come siamo abituati a riconoscere e descrivere, ma piuttosto un DNA morale: la memoria delle generazioni precedenti si trasmette in un destino che passa ai discendenti.
Le colpe dei padri ricadono sui figli, e questa realtà, che a noi può sembrare ingiusta e immeritata, è il fondamento di tanti miti dinastici, da quello degli Atridi a quello di Edipo a tanti altri che intrecciano destino ed eredità familiare.
Nessuno è isolato nella catena di trasmissione delle generazioni e prima o poi bisogna affrontare memoria di antiche colpe o delitti, espiazione e ritorno all'origine.

Ma questa che può sembrare una limitazione all'individuo, mai perfettamente libero di iniziare "da capo" una storia personale che lo renda vergine e innocente, sempre connesso invece a fatti sprofondati nella notte dei tempi che sono tuttavia un marchio che le generazioni si passano silenziosamente e senza interruzione, è al tempo stesso garanzia di Memoria.
Il passato, no, non si dimentica, non si può dimenticare, ce lo portiamo dietro, anzi dentro.

Questo, attraverso il mito, è il messaggio che la classicità ci trasmette.
Come ci insegnano gli autori greci, Bene e Male sono così strettamente connessi che non si possono distinguere: l'uno sembra l'altro e porta il suo opposto sul rovescio della propria natura, tanto che ogni gesto, ogni parola può essere duplice, può avere due aspetti, se niente è solo come sembra. Il mondo umano è lotta, divergenza, distruzione, e questi elementi sono il segno dell'epoca forsennata in cui ci è toccato vivere, e in cui nessuno di noi vorrebbe vivere, l'età del ferro che ha azzerato pietà, rispetto, pace.

Nessuna generazione è innocente nella carneficina che oppone fratello a fratello, come accade ai figli di Edipo, Eteocle e Polinice, di cui il mito azzera e parifica colpa e innocenza nella comune morte reciproca. Siamo sempre nell'età del ferro, dove pietà, giustizia e anche rispetto delle generazioni si sono allontanate dai comportamenti umani.
Così dobbiamo riconoscere che quel Caos che, come dice Esiodo è all'origine del mondo, la prima cosa esistente, quell'abisso spalancato nel vuoto, è ancora più vicino di quanto crediamo.
Il nostro tempo perciò ha bisogno di recuperare Mneme: essa infatti non può essere esclusa dalle nostre vite, dovrebbe anzi essere il nostro continuo punto di riferimento: guai a chi allontanasse Mneme dal proprio spirito, sarebbe come amputare una parte del proprio corpo, come ridursi ad una statua senza mente e senza radici, come il gigante Talos, uomo solo in apparenza, a cui basta togliere un chiodo/bullone perché tutto il suo io frani, rivelando l'inconsistenza della sua figura.
Se noi abbiamo recuperato l'indipendenza dalla trasmissione ereditaria dalla colpa, espressa dal nostro continuo riferimento alla libertà individuale che ci rende responsabili solo delle nostre azioni, abbiamo tuttavia resettato con troppa facilità la connessione alla Memoria del passato, vivendo in un presente fatto di istanti assoluti e troppo spesso voltando le spalle a quello che siamo stati appena ieri.

Ecco il senso profondo della celebrazione annuale del "Giorno della Memoria" o del "Giorno del Ricordo": non sono solo un atto dovuto ma un modo di riconnetterci alle generazioni precedenti e di fare un'indagine sulla verità.
Se qualcosa dobbiamo imparare, è accostarci alla storia con equità, pronti a fare un bilancio onesto di torto e ragione, da qualunque parte siano stati. Solo così Mneme e Dike, Memoria e Giustizia, saranno riconciliate e riportate al centro delle nostre vite.



Rossana Levati



venerdì 4 febbraio 2022

Esame di Stato 2022: l'opinione degli studenti

 Tornano le prove scritte all'Esame di stato

Il giorno lunedì 31 gennaio 2022, il ministro dell’istruzione, Patrizio Bianchi, si è espresso sulle modalità che interesseranno lo svolgersi sia della Maturità che dell’esame di terza media. Da studentessa del quinto anno che, nel 2022, dovrà sostenere sia l’Esame di Stato, sia prendere importanti decisioni riguardo al suo futuro percorso universitario, ho vissuto, fino a lunedì, nella tranquillità che mi era stata consentita dalle dinamiche su cui, fino a quel momento, si era pronunciato il ministro: uno scritto di Italiano e un orale in cui avrei dovuto presentare o un elaborato o una tesina interdisciplinare. Non mi sono, tuttavia, stupita più di tanto nel ricevere la notizia secondo la quale, seppur non siano ancora state presentate ordinanze definitive, sarà reintrodotta la seconda prova. Questo, forse, è dovuto al fatto che nel mio singolo caso, la Dad ha rappresentato sì una didattica a singhiozzi, ma allo stesso tempo mi ha consentito di approfondire tematiche ed interessi che fino poco tempo prima avevo a dir poco trascurato; forse, perché nella mentalità di alcuni alunni e professori la Maturità ha una valenza puramente formale, quasi come se rappresentasse il raggiungimento di una soddisfazione personale nel veder concluso nel migliore dei modi un percorso così tortuoso e faticoso. Tuttavia io non sono un caso singolo, in qualche modo, in questo contesto, credo di rappresentare la comunità studentesca e, pertanto, mi domando: tutti affrontano questo momento come lo sto affrontando io? Tutti riusciranno a sopportare il grande stress che dominerà questi ultimi mesi di un momento della nostra vita che vorremmo ricordare come “sereno”? Con questo non voglio apparire come menefreghista e tanto meno più forte emotivamente rispetto agli altri studenti, ma desidero evidenziare come la Dad non abbia solo compromesso la nostra preparazione scolastica e la nostra formazione, ma abbia anche notevolmente nociuto alla nostra interazione sociale. Ha condotto molti alunni alla scelta dell’abbandono scolastico. Ha fatto passare in secondo piano la salute mentale di chi, fino a quel momento, non aveva avuto modo di interfacciarsi con se stesso. Credo che in questo momento sarei anche io nella medesima condizione di sentirmi esausta di ritrovarmi solamente con me stessa e con il mio computer… quanto prima ho affermato è più una questione di voler proseguire un modus vivendi che ho appreso proprio nel momento di emergenza: affrontare tutto un passo dopo l’altro. Probabilmente, la decisione a cui è giunto il ministero dell’istruzione non muterà: al momento ci sono più punti interrogativi che certezze, più angoscia che felicità di proseguire verso il termine di questo ciclo di studi, più desiderio di far sentire la propria voce e di richiamare alla collaborazione la comunità studentesca italiana piuttosto che ridursi alla semplice accettazione che io stessa, ora, considererei come atto di egoismo.

a cura di Camilla Camusso, V C 


Giornata della Memoria

 Conferenza di Alberto Cavaglion del 26 gennaio 2022

Riproporre argomenti di una tale importanza storica quale il ricordo e lo studio dell’Olocausto e dei crimini nazisti, porta con sé il peso della necessità di una sempre nuova esposizione della memoria degli eventi, in modo da far riflettere gli ascoltatori, invece di limitarsi a banali e superficiali commenti sul periodo delle atrocità del Reich tedesco, che rischiano di passare quasi con indifferenza sotto gli occhi dei partecipanti alla discussione.

Lo storiografo Alberto Cavaglion dimostra nella sua conferenza del 26 gennaio la capacità, sicuramente maturata nel corso degli anni, di sfuggire al pericolo del banale e del riduttivo, puntando l’attenzione delle classi che gli prestavano ascolto non su un dipinto del terribile lavoro nazista, bensì sullo sviscerare le cause e le idee che hanno preceduto e portato all’evento dell’Olocausto.



Si fa riferimento più volte all’inutilità di una storiografia fatta di “puro male”, ed è questo che la conferenza dello storico rappresenta. Un ribaltamento dei canoni, che pone domande diverse dal solito: cosa ha portato l’emancipazione degli ebrei al fallimento del liberalismo, alla perdita dei diritti umani? Come possiamo capire il successo del fascismo e del nazismo in quei tempi? Qual è il peso avuto dai pregiudizi nella sistematica evoluzione della società, e qual è lo spettro di reazioni che la gente ha avuto alla macchina di sterminio?

Discutendo e riflettendo su queste tematiche (che, come provano le molte e pertinenti domande poste alla fine, hanno stimolato in modo particolare gli studenti), lo storiografo affronta concetti ed idee che riflettono il lavoro svolto nei suoi saggi: più di ogni altro, il rapporto tra memoria, storia e paesaggio “contaminato”, che ha occupato una notevole porzione delle quasi due ore trascorse assieme, è un chiarissimo nodo tematico con il suo ultimo libro, proprio dedicato alla visione di una permeabilità degli atti in un luogo nel corso del tempo: Decontaminare le memorie: Luoghi, Libri, Sogni è un estensione dell’interessantissimo approfondimento sull’idea di isolamento che andrebbe conferito ad alcuni posti che hanno funto da teatro per le crudeltà discusse, primo tra tutti Auschwitz-Birkenau.


Lo storico Cavaglion più volte si concentra sullo stimolare un’opinione nel pubblico, invece di impiantare nelle menti una risposta definitiva. Anche il concetto dell’isolamento, quindi, non è concluso definitivamente, bensì continua nella mente e nella coscienza di ciascuno, che si interroga se l’idea di “dare ai luoghi della Memoria il tempo di curarsi”, di riprendersi dalle atrocità delle quali sono stati testimoni, se correre il rischio che vengano dimenticati siano un prezzo necessario per eliminare una parte essenziale di uno degli eventi più terrificanti della Storia.
a cura di Alessandro Cussotto, III A