sabato 19 febbraio 2022

Il Liceo Classico partecipa alla prima iniziativa teatrale dell'anno del teatro Alfieri

 

Guido suonava il violino: una toccante ricostruzione teatrale



 

A quasi due anni precisi dall’infelice interruzione del progetto “Teatro scuola, Piemonte dal vivo”, avvenuto il giorno di San Valentino del 2020 in seguito alla rigidità delle norme anti-Covid, è stata messa in scena la prima rappresentazione teatrale affiliata a questa iniziativa, con la partecipazione di una componente artistica d’eccezione. Questo evento, come sottolineato dal sindaco Maurizio Rasero e successivamente ripreso dalla regista Patrizia Camatel, non solo ha rappresentato un punto di incontro tra le scuole e il teatro Alfieri, che mancava ormai da molto tempo, ma ha anche lanciato un chiaro messaggio di ripartenza ad ogni manifestazione artistica nell’astigiano. A partecipare alla rappresentazione teatrale sono state diverse classi provenienti dagli Istituti superiori di Asti, tra cui le classi 2A, 3C e 4C del nostro liceo, le quali hanno contribuito a restituire al teatro il fascino e la magica atmosfera che si erano andati lentamente a scemare in tempo di pandemia.

 Lo spettacolo, intitolato Guido suonava il violino, è una ricostruzione immaginifica della storia di una famiglia astigiana, vissuta ai tempi della Shoah, di cui si sono perse le tracce dopo la deportazione. Le sequenze narrative che si succedono durante la rappresentazione ruotano attorno ad un violino, oggetto a cui Guido Foà, bambino di questa famiglia ebrea, tiene molto. Questo strumento musicale, tuttavia, sembra essere animato: stride, geme e arriva all’improvviso nella vita di una giovane ricercatrice, supplicandola di ricordare e narrare la storia del suo vecchio proprietario. La storia prosegue poi con un alternarsi di flashback, presentati al pubblico attraverso veri e propri sogni della protagonista e sue riflessioni interiori, riuscendo perfettamente a creare un clima malinconico ed empatico. Nonostante la vicenda sia costellata da più di una decina di personaggi, ognuno con pregi, difetti e una caratterizzazione notevole che li distingue a livello umano l’uno dall’altro, la magistrale Elena Formantici, unica attrice presente sul palco, è riuscita ad interpretarli tutti, creando una sorta di monologo teatrale, ricco di sentimenti e angosce.

Tra i vari personaggi che sono stati presentati troviamo innanzitutto la protagonista, una ricercatrice dal carattere forte che vede la sua quotidianità sconvolta dall’arrivo di un oggetto misterioso a cui si sente legata, sebbene non sappia neanche come si tenga in mano lo strumento. In contrapposizione con la personalità della donna viene introdotta, attraverso ricordi del passato, il vero personaggio principale della vicenda, a cui è anche dedicato il romanzo a cui si ispira lo spettacolo, ovvero Guido, un bambino ebreo croato di otto anni, italianizzato durante la guerra a causa delle dure condizioni imposte dai fascisti agli abitanti della Dalmazia. Questa giovane creatura non sa cosa sia la guerra, non sa cosa si provi a portare il fardello di essere nato in una famiglia semita, poiché a lui interessa solo giocare spensierato con i suoi amici, cercando di inseguire il fantasma di un’infanzia che gli scivola dalle mani. La sua ingenuità, tuttavia, è ciò che gli permette, anche mentre viene trasportato in Polonia su un carro bestiame, di ricordare i momenti legati alle sue lezioni di violino col nonno Camillo, tenendolo allegro e proteggendolo dalla dura realtà che lo aspetta una volta sceso dal treno. Le figure più struggenti e sofferenti che compaiono sono, tuttavia, i genitori del piccolo Guido, Italo Foà ed Estella Luzzati, i quali, nonostante possiedano caratteri e personalità profondamente dissimili, sono attraversati dagli stessi dubbi e domande, ma soprattutto da un grande senso di sconforto, poiché si domandano per quale motivo vengano puniti, se la loro unica ‘colpa’ è quella di essere ebrei. Queste due persone emanano un comune senso di inquietudine e ci invitano a provare pietà per la loro condizione, ma in due modi diversi: la paura del padre si trasforma in rabbia e autocommiserazione, mentre quella della madre diventa rapidamente rassegnazione.

Dopo la rappresentazione, della durata di un’ora e mezza, l’attrice e la regista hanno lasciato mezz’ora di tempo agli alunni per porre eventuali domande riguardo al lavoro svolto, alla professione dell’attore e per esprimere i sentimenti che ognuno ha provato durante la messa in scena dello spettacolo.

                                                             A cura di Lorenzo Merlone, classe III C

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