domenica 25 ottobre 2020

LA DISCUSSIONE CONTINUA, DA NUOVI PUNTI DI VISTA

Ecco le riflessioni sulla stessa questione di altre due alunne di V A: Emma Monticone prova ad assumere un punto di vista diverso, ispirato al criterio dell'utile collettivo in situazioni eccezionali per tutti; Francesca Berruti invece riflette sul diritto del paziente a ricevere cure, in qualunque situazione sanitaria si trovi.

Pro Helvetia (e non solo)


Così si fa, brontolava Malpelo; gli arnesi che non servono più, si buttano lontano”.

Le parole che Verga fa pronunciare a Rosso Malpelo nell’omonimo racconto ci appaiono particolarmente attuali, in questo momento: da qualche ora, infatti, è stata pubblicata su numerosi giornali la notizia che la Svizzera ha deciso di negare la rianimazione agli anziani malati di Coronavirus.
Foto di Jills da Pixabay 

Gli anziani sembrerebbero essere quindi considerati quasi degli scarti, qualcosa che non è più utile per la società e che può essere quindi sacrificato.

Molti stanno già iniziando ad esprimere il loro disappunto riguardo a questo provvedimento, accusando lo stato elvetico di star violando il diritto alla salute, negando il trattamento sanitario ad alcune persone, e in alcuni casi i medici stessi di star tradendo il giuramento di Ippocrate.

Quello di cui, però, mi sembra si stiano dimenticando coloro che criticano il nuovo protocollo svizzero è che ci troviamo nel bel mezzo di una pandemia, che la situazione sta (purtroppo) peggiorando ogni giorno di più e che in Svizzera il rapporto di casi ogni centomila abitanti è nettamente superiore a quello di tutti gli altri stati con cui confina.

Inoltre, le scelte che a breve potrebbero trovarsi ad affrontare i medici svizzeri sono esattamente le stesse di fronte alle quali si sono trovati di fronte i medici italiani questa primavera, durante la prima ondata di Coronavirus.

L’unica differenza sta nel fatto che, mentre in Svizzera i medici avranno per lo meno un protocollo ufficiale, delle regole, a cui attenersi e su cui fare affidamento nel fare queste terribili scelte, qui in Italia i singoli medici hanno dovuto prendersi la responsabilità e farsi carico del peso enorme di dover decidere chi salvare e chi no (con tutti i sensi di colpa che sicuramente ne saranno derivati) senza poter contare su alcun documento ufficiale che desse loro delle indicazioni precise sul criterio da adottare, delle garanzie o che li tutelasse.

Ovviamente il diritto alla salute è un diritto sacrosanto, a prescindere dall’età dell’individuo, ma credo che la situazione corrente giustifichi l’adozione di protocolli come quello della Svizzera, per il semplice fatto che se non si adottassero misure del genere, le perdite umane crescerebbero esponenzialmente.

Alla base della decisione presa dalla Svizzera (e delle scelte compiute dai medici italiani e non solo nei mesi passati) ritroviamo il principio della selezione naturale di Darwin, la legge del più forte, in base alla quale solo i più forti sopravvivono, mentre i più deboli sono destinati a morire (principio che è anche sotteso al racconto “Rosso Malpelo” di Verga, tra l’altro).

Ovviamente, in questo caso, non è la natura ad agire direttamente, ma l’uomo, che si trova a dover selezionare e “sacrificare” chi ha una minore aspettativa di vita in favore di chi, nel caso ricevesse le cure adeguate, sopravvivrebbe ancora a lungo.

In realtà, analizzando questo criterio di scelta in ottica leopardiana, si potrebbe fare anche un’altra considerazione, ovvero che chi, una volta curato “a discapito” di un’altra persona, sopravvivrà, avrà vissuto solo un po’ più a lungo, perché alla fine tutti siamo destinati, prima o poi, a morire.

E’ evidente nel finale del “Dialogo della Natura e di un Islandese” di Leopardi, in cui l’Islandese, secondo una delle due versioni della vicenda, viene sbranato da due leoni digiuni da tempo “che appena ebbero la forza di mangiarsi quell’Islandese […] e presone un poco di ristoro, si tennero in vita per quel giorno”.

Secondo la logica leopardiana, non avrebbe senso considerare una categoria della popolazione più sacrificabile delle altre, perché il destino di tutti è lo stesso ed è la morte, ma, considerando la situazione attuale, credo che seguire la logica darwiniana sia la cosa più ragionevole da fare: quando i reparti dei Pronto Soccorso si riempiono a tal punto e ad una tale velocità di persone che hanno bisogno di cure, vanno fatte delle scelte, perché semplicemente non c’è posto per tutti.

E’ ovvio che in circostanze normali i medici non sceglierebbero (e neanche si troverebbero nella posizione di dover scegliere) chi assistere e chi no, perché ciò significherebbe andare contro la propria morale, prima ancora del giuramento di Ippocrate, ma quella in cui ci troviamo, mi sembra chiaro, non è una circostanza normale.

Non voglio essere fraintesa: io sono assolutamente convinta che tutte le vite abbiano lo stesso valore, sia la vita di un anziano, sia la vita di un giovane, ma, nel momento in cui si è costretti a scegliere chi tentare di salvare e chi no, va presa una decisione razionale e quindi optare per la persona che ha più chance di sopravvivere.

Nessun uomo vorrebbe mai trovarsi nella situazione di doversi porre al posto della natura e decidere chi debba morire e chi, invece, possa continuare a vivere, ma il momento, purtroppo, sta arrivando; anzi, lo stiamo già vivendo.

Emma Monticone, classe V A


Il Coronavirus, le cure agli anziani e il Darwinismo nel 2020


Il periodo in cui ci troviamo è molto particolare e dobbiamo affrontare avvenimenti inattesi. Da otto mesi viviamo a contatto con il Covid-19, un virus che si è manifestato per la prima volta in Cina verso la fine del 2019 e si è diffuso rapidamente in tutto il mondo. La situazione, dopo la relativa tranquillità dell’estate, è tornata ad essere tragica, i contagi di ieri, venerdì 23 ottobre, in Italia sono stati 19143, la curva è dunque in continua crescita.

Nel resto del mondo le cose non vanno meglio. Hanno fatto scalpore le dichiarazioni di Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti d’America al termine del suo primo mandato, che ha proposto una “cura” a base di iniezioni di disinfettante. Ora arriva la Svizzera[1], che ha stabilito di negare l’accesso ai reparti di rianimazione agli anziani ammalati di coronavirus, per evitare un eccessivo sovraffollamento delle terapie intensive.
Foto di Gerd Altmann da Pixabay 


Il protocollo, elaborato dall’Accademia Svizzera delle Scienze Mediche e dalla Società Svizzera di Medicina Intensiva, è in vigore dal 20 marzo, anche se ufficialmente non è stato ancora adottato. Il documento, a pagina 5, riporta i profili dei pazienti che non dovrebbero essere ricoverati in terapia intensiva al livello B. Si tratta dei pazienti di età superiore agli 85 anni e di quelli di età superiore ai 75 anni, che abbiano malattie pregresse anche non a stadi molto gravi e una speranza di vita che si aggira intorno ai 24 mesi. I pazienti che non possono essere ricoverati al livello A sono, invece, i più gravi, i malati oncologici a cui non rimangono più di 12 mesi di vita e i pazienti affetti da malattie pregresse a stadi molto gravi o da malattie terminali.

I posti liberi nella terapia intensiva svizzera sono ora poco più di 6000, ma la malattia procede velocemente e presto i medici potrebbero trovarsi a fronteggiare la situazione che i medici bergamaschi hanno affrontato a marzo, quando anche in Italia la priorità era salvare i malati di coronavirus più giovani piuttosto che gli anziani, abbandonati a loro stessi senza le giuste cure palliative negli ultimi attimi della loro vita.

Il presidente dell’Ordine dei Medici svizzero, Franco Denti, difende la politica del proprio paese - nonostante abbia affermato che scegliere di rianimare una persona piuttosto che un’altra sia una scelta difficile per qualsiasi medico – sostenendo che molti pazienti potrebbero non volere essere sottoposti ad ulteriori cure, come quella a cui sono sottoposti i pazienti intubati in rianimazione, e questo documento potrebbe dunque essere utilizzato dai medici come garanzia della propria scelta.

Il protocollo svizzero appare troppo drastico. Ammesso che sia possibile fare scelte su chi curare in base alle aspettative di vita, l’orizzonte temporale individuato, da uno a due anni a seconda dei casi, sembra troppo lungo per poter essere considerato decisivo. Nessuno di noi può essere sicuro di essere vivo fra uno o due anni. Se si ragiona in questo modo, forse non dovrebbe essere curato nessuno.

Le affermazioni del documento vanno contro la deontologia professionale di un medico e il giuramento di Ippocrate che tutti i neodottori in medicina pronunciano al momento della laurea. Negare le cure ai pazienti solo perché anziani e sostenere di farlo in nome della loro libertà di scelta, come dice il dottor Denti, è un modo di arrampicarsi sugli specchi. È chiaro che il problema sia la disponibilità di posti. Ci si riferisce alla situazione con termini tipici della guerra, come “razionamento” – in questo caso dei ricoverati. Per il momento non ci si è ancora dovuti appellare al documento del 20 marzo. Denti aggiunge che le decisioni saranno prese dal comitato etico. Dal 20 marzo ad oggi sono passati sette mesi. In questo periodo, sapendo che ci sarebbe stata una seconda ondata, le autorità, comprese quelle svizzere, avrebbero potuto organizzarsi, proprio aumentando i posti in terapia intensiva, ma evidentemente non si è voluto farlo.

Questo ci porta ad una riflessione molto amara. Darwin nell’ Ottocento ha teorizzato l’evoluzione della specie e spesso il suo pensiero viene associato alla selezione naturale. La giraffa ha il collo lungo perché gli alberi da cui ricavare il cibo erano sempre più alti e il collo del cavallo era troppo corto per poter mangiare. Gli esemplari col collo più lungo sono quindi riusciti a sopravvivere, perché potevano arrivare ad una fonte di nutrimento ad altri non accessibile. La selezione naturale permette agli esemplari più forti e adattabili di ogni specie di sopravvivere. I dinosauri non avevano più le qualità fisiche per sopravvivere sulla terra che si era raffreddata e si sono estinti. Questa è selezione naturale. Le cure negate agli anziani sono una forma di selezione naturale che non può e non deve essere accettata da una società che si considera civile.

Mastro Misciu, padre di Malpelo nella novella del Verga, muore sotto una colonna di terra mentre svolge un lavoro pericoloso. Nessuno lo aiuta, nonostante abbia ancora una speranza di farcela. Lotta fino a consumarsi le mani per uscire dalla terra, ma nessuno, oltre al figlio, si dà da fare per lui.

Ogni vita è importante e ognuno di noi ha il diritto di fare di sé ciò che preferisce. Si è liberi di rifiutare la rianimazione come ogni forma di accanimento terapeutico, ma, se la decisione del paziente è provare fino all’ultimo a salvarsi, nessuno può intromettersi.

I medici hanno il dovere di lottare fino all’ultimo per salvare un paziente se questa è la sua volontà e un protocollo dovrebbe garantire le cure migliori per tutti e non andare contro i principi fondanti della deontologia professionale.


[1] v. “La Svizzera sceglie: rianimazione negata agli anziani malati di coronavirus”, La Stampa https://www.lastampa.it/esteri/2020/10/24/news/la-svizzera-sceglie-rianimazione-negata-agli-anziani-malati-di-coronavirus-1.39453134

 Francesca Berruti, classe V A

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