Lo abbiamo letto tante volte, in quel poema che ancora oggi
rappresenta la summa della nostra lingua e cultura che è la Divina Commedia,
quel verso, nel canto V dell’Inferno, così musicale e drammatico di Francesca
che, interrogata da Dante, dice: “Nessun maggior dolore che ricordarsi del
tempo felice nella miseria”.
Dante e Virgilio https://www.flickr.com/photos/70554294@N00/1435693426/ |
Come accade spesso in questi giorni di interruzione forzata delle nostre vite,
versi di autori, frasi di romanzi e opere lette con altro spirito, in una vita
che credevamo normale e i cui pregi abbiamo sottovalutato, tornano alla mente
all’improvviso e il loro significato è mutato: tutto assume un peso diverso,
tutto sembra avere un significato improvvisamente più chiaro, anche quei versi
così ricchi, intensi e riletti più volte, mai come oggi così densi di
significato.
E questo ci avvicina di colpo la letteratura, ci fa capire che ciò che dicono i
poeti è vita vera, che oggi comprendiamo più in profondità in tutto il loro
significato.
Il senso diverso ce lo da’ la realtà contemporanea: perché è chiaro a tutti che
eravamo felici senza sapere di esserlo, come sempre i poeti osservano e
richiamano alla nostra attenzione.
La felicità delle piccole cose, quella
che indica anche Gozzano, e quella che è sempre più rimpianta ora che l’abbiamo
perduta.
Perché abbiamo un bel riempire le nostre case di attività per colmare il tempo dilatato che ci si spalanca davanti,
dal fitness alla musica alla lettura alla cucina, ma diciamolo, il tempo di
prima, la vita di sempre, sono quelle lì che vorremmo recuperare.
Certo ricordare cosa potevamo fare è doloroso per tutti, ancor più per i
giovani, abituati a una vita in movimento, piena di contatti sociali: anche i
semplici contatti familiari tra generazioni ora sono più difficili. E’ la
nostra routine interrotta, ma è anche la ricchezza invisibile di rapporti umani
che rimpiangiamo in mille modi: strade percorse, incontri di persone, libero
movimento, gesti di affetto ora più che mai trattenuti, perfino i litigi all’interno
di un’aula scolastica, ora sono un ricordo di un tempo felice.
Dante citava, nel verso di Francesca, il
“De consolatione philosophiae” di Boezio, ma non gli era estraneo il senso
profondo del maestro Virgilio, non solo guida nel viaggio nell’aldilà ma
modello di poesia e di riflessione.
Virgilio infatti più volte, nel descrivere i suoi personaggi, usa l’espressione
“felix quondam”, “felice un tempo”: felice se mai fosse accaduto questo, “o
fortunatos nimium, sua si bona norint”, felici, troppo felici, se solo avessero
saputo di esserlo.
Perché una cosa ce la dice chiaramente il poeta latino, che la nostra felicità
la ignoriamo quando la possediamo a
nostra insaputa, e solo quando essa è
perduta per il sopraggiungere di difficoltà, possiamo ammettere di essere stati
felici riconoscendo in quell’attimo passato
la nostra condizione irripetibile.
Anche Virgilio così lo ritroviamo improvvisamente più vicino, e mai come oggi
il suo discorso sulla felicità perduta ci sembra così attuale.
Ma poiché il tempo va avanti e non si riavvolge su se stesso, è nel dipanarsi
di questo nastro che dobbiamo sperare, sperando di imparare almeno a non
sottovalutare i doni della vita, quando
li abbiamo tra le mani, e a portarci dentro una nuova ricchezza e sensibilità
nelle letture che avremo la fortuna di fare: ogni autore, ma soprattutto i
classici della letteratura, può insegnarci a riflettere, in questo tempo
rallentato, e darci qualche spunto da portare sempre con noi.