Leggere
Sartre in tempi di quarantena: La nausea e
lo straordinario senso dell’insensatezza
Vi sono libri che fanno irruzione nella vita e non ne
escono più, segnano l’esistenza e la modificano, incontro fatale, potenza della
tyche - direbbe Lacan - libri che,
tra la passione e l’ossessione, binomio inscindibile, ci si porta dietro per
sempre, rimangono lì, al tuo fianco, in ogni momento; ed ecco che, ogni tanto,
li si rispolvera, nel tentativo di cogliere qualcosa di nuovo, di vedere tra le
righe ciò che prima non era stato visto. La
nausea, mio primo ed indelebile incontro con Sartre, non per cercarvi
nozioni né certezze, ma per avere, intimamente, un dialogo con l’autore, per
assaporare le sue parole e trovare in esse qualcosa di vivo e di vitale,
qualcosa che possa illuminare, quand’anche di inquieta oscurità, il grigiore
sofferente del presente. Tenteremo, dunque, di estrapolare da La nausea i nuclei emotivamente e
concettualmente più suggestivi, che possano comunicare qualcosa che tocchi noi
e il nostro presente, scavando nell’abisso dell’esistenza umana, della nostra
attuale esistenza, fatta di giorni che, senza un fine e senza una fine, si
succedono incomprensibilmente l’uno all’altro, sospeso - se non perduto -
l’orientamento teleologico del tempo. Ed ecco che, tacita e subdola, arriva la
nausea, che mostra l’esistenza nella sua sovrabbondante insignificanza,
crollano le sovrastrutture e si dissolvono gli artifici, tutto è spogliato e
rivelato nella cruda verità, che sembra essere sinonimo di insensatezza.
Così, nel caotico smarrimento di queste settimane, ho ripreso in mano
Così, nel caotico smarrimento di queste settimane, ho ripreso in mano
Leggere La
nausea in tempi di quarantena è un’esperienza rivelatrice, affatto
particolare, perché, in fondo, è come se tutti fossimo condannati alla Nausea,
condannati ad esperire la nudità dell’esistenza, privata della sua dimensione
mondana e convenzionale, condannati ad essere, non si sa per quanto, Antoine
Roquentin, solo, nella sua Bouville, alla prese con un grigiore esistenziale
che lo assale e lo soffoca, senza avventure, senza appigli, senza vie di fuga.
Eppure, proprio nel momento in cui Roquentin tocca il fondo più oscuro
dell’esistenza, nel momento in cui, paralizzato, impotente, abulico, la Nausea
si impossessa di lui, una luce, tanto strana quanto intensa, appare: la
metamorfosi inizia ad avvenire, e, proprio nell’insensatezza più assoluta,
viene scoperto il senso più profondo dell’esistere, dalla disperazione più
radicale si ricava una forza vitale straordinaria, che è poi il nucleo
dell’opera sartriana e del suo intero pensiero filosofico, di una filosofia che
affascina e colpisce, che, pur senza rigide pretese dogmatiche, può dare
risposte agli interrogativi più inquieti del vivere umano. Ed è proprio per il
valore liberatorio insito nella Nausea che ci sembra di dover prendere le
distanze da quella critica che vede nella Nausea un’esperienza negativa e
nichilistica, in cui la coscienza perderebbe la propria capacità di trascendere
gli oggetti del mondo e si farebbe assorbire dall’in-sé, smarrendo, così, la
possibilità di essere progetto e di creare da sé l’avvenire; in altri termini,
secondo queste tendenze critiche (e, tra le altre, facciamo riferimento alle
pur autorevolissime interpretazioni di Francis Jeanson), la Nausea
rappresenterebbe, in maniera assoluta e univoca, il momento in cui l’esistenza
perde totalmente di senso, si rivela nella sua nullità e ingiustificabilità, il
momento della vita in cui ci si accorge che nulla ha un senso e nulla ha una
direzione, che non ci sono ideali né principi trascendenti a giustificare
l’esistenza, e tutto accade, senza spiegazioni né ragioni aprioristiche. Di
fronte a ciò si prova un terribile disgusto: “è l’Esistenza che si svela, e non
è bella a vedersi, l’Esistenza”, scrive Sartre medesimo. Ebbene, tutto ciò è
perfettamente condivisibile, ma, se si vuole cogliere profondamente il
significato dell’opera sartriana e farla propria, è necessario, accanto alla pars destruens cui si è accennato poco
sopra, mettere in evidenza anche la sua esemplare pars construens, che, se analizzata in rapporto alla successiva
produzione sartriana, risulta innegabile; è, cioè, necessario non fermarsi alla
Nausea vista come fondo abissale da cui, avendo fatto esperienza
dell’insensatezza e della vanità del tutto, è impossibile rialzarsi, bensì,
come acutamente suggerisce Franco Fergnani, riconoscerne - successivamente a quello “contestativo” - il “carattere rivelativo”.
Aiutandoci con le interpretazioni di Fergnani - indiscusso punto di
riferimento per la critica sartriana in Italia e in Europa - possiamo ricavare
da La nausea ciò che forse veramente
cerchiamo, soprattutto in periodi di buio e di grigiore come quello che stiamo
attraversando, cioè una risposta, un sostegno, una parola che giunga in
soccorso al nostro grido di disperazione, proprio partendo, e risalendo, dal
fondo abissale ed angoscioso in cui si è precipitati: la Nausea diventa, così,
il momento chiave per vivere - con terminologia heideggeriana - autenticamente,
essendo passati attraverso la perdita assoluta ma momentanea della significanza dell’esistere.
In questo periodo - si è scritto all’inizio - siamo
quasi condannati a fare esperienza della Nausea, per due ragioni essenziali:
l’una è il venire meno della dimensione mondana dell’esistere, l’altra è il
contatto che si ha con la contingenza precaria e assurda dell’esistenza. Per
dimensione mondana dell’esistere, non si intende - è bene chiarire - il
fruttuoso e indispensabile Mitsein (che
Sartre traduce con être-pour-autrui),
ossia il vivere collettivo, il rapportarsi in maniera non solipsistica
all’Altro variamente declinato, ma si intende un’esistenza condotta in nome
della malafede, della fuga da sé, del pascaliano divertissement, un’esistenza frenetica e convenzionale, dove la
chiacchiera si è sostituita al dialogo, dove non si ha il tempo per
appropriarsi del nulla che ci abita, si preferisce guardare altrove, immergersi
nel mondo con l’intenzione di perdersi in esso e diventare una
cosa-tra-le-cose, alienati, reificati, cosificati: è l’esistenza inautentica
dei salauds (tradotto
“sporcaccioni”), di chi, serenamente e prepotentemente convinto del proprio
ruolo nel mondo, non coglie l’ingiustificabilità dell’esistenza e dunque non
può arrivare a progettarne da sé una giustificazione, e rimane lì, sicuro del
senso della propria vita, chiuso nel suo recinto di certezze e di abitudini, di
relazioni superficialmente vissute, in nome di un “Si” neutro e impersonale,
banalizzante e omologante, tranquillo nel proprio universo che conforta e
distrae. Ebbene, ciò che sta capitando in questo momento - e perdonateci il
facile e schematico semplicismo - può essere considerato come una sorta di
negazione del vivere mondano, come se ci fosse impedito di vivere in maniera
inautentica, di gettarci nevroticamente nella frenesia stordente della
quotidianità: siamo, insomma, chiamati per necessità a un’esistenza autentica,
che passa attraverso la Nausea. Scrive, a tal proposito, Fergnani in Lezioni su Sartre:
La
nausea può essere considerata uno choc salutare che strappa alla banalità
quotidiana [...] un’esperienza annichilente in modo totalitario e
incondizionato, ma [...] un’esperienza crudamente liberatoria dagli aspetti più
convenzionali, conformistici, tradizionalisti, seriosi, del vivere. Una
distruzione del mondo delle impressioni canoniche.
Estraneo al mondo, déraciné,
sradicato dalla tranquillità della mondanità, Roquentin scopre l’esistenza
nella sua cruda profondità: la contingenza, angosciante ma potenzialmente
liberatoria. Per contingenza si intende la gratuità e l’ingiustificabilità
dell’esistenza, quell’ingiusitifcabilità che i salauds, così sicuri delle loro certezze e così immersi nella
mondanità, non vogliono ammettere. Non c’è nulla che possa spiegare
l’esistenza, non c’è necessità, tutto è contingente ed effimero, sottoposto a
un divenire privo di scopo: questo scopre Roquentin e questo, in fondo, è ciò
che gli permette di emanciparsi dalla massa informe dei salauds. Ma lasciamo che parli Sartre:
L’essenziale
è la contingenza. Voglio dire che, per definizione, l’esistenza non è la
necessità. Esistere è essere lì,
semplicemente; gli esistenti appaiono, si lasciano incontrare, ma non li si può mai dedurre [...]. Orbene, non c’è alcun essere necessario che può
spiegare l’esistenza [...]. Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io
stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e
tutto si mette a fluttuare [...]: ecco la Nausea.
Ebbene, si può quindi dire che, tra Nausea sartriana
ed essere-per-la-morte heideggeriano, siamo posti, in questo periodo, di fronte
alla contingenza dell’esistenza e alla sua assurdità, impotenti, disgustati,
schiacciati da qualcosa che accade ma non si spiega, qualcosa che è ma non si
giustifica, gettati in una situazione in cui si dissolve ogni necessità e ogni
schema causalistico, faccia a faccia con la finitudine e con il nulla che
permea il tutto, il nulla dentro di noi, il nulla fuori di noi. E questo ci
conduce sul confine angoscioso di un precipizio abissale: l’insensatezza,
insensatezza della vita e della morte, insensatezza del tempo, insensatezza di
giorni che si accumulano l’uno sull’altro senza un perché, privi di rifugi e di
valori universali, allontanati dal caos mondanità, soli, viandanti in un
deserto secco e desolato, non è data una direzione, non è dato un senso. Ma
proprio qua, a contatto con l’insensatezza viscerale dell’esistenza, la Nausea
ne rivela il significato: la libertà. L’uomo è libero, condannato ad essere
libero, condannato a creare continuamente se stesso, senza scuse, responsabile
di tutto ciò che fa, chiamato senza sosta a inventare da sé quel senso della
vita che a priori non trova. Da ciò
scaturisce tutta la successiva produzione sartriana, da L’essere e il nulla sino alla Critica
della ragion dialettica, in un affascinante e straordinario tentativo di
spiegare l’inspiegabilità dell’esistenza, non con dogmi, ma con esortazioni,
dirette, intime, penetranti, come questa, contenuta in L’esistenzialismo è un umanismo:
Emilia
Bezzo
Nessun commento:
Non sono consentiti nuovi commenti.