Per non dimenticare
Come
Giornata del Ricordo del massacro delle foibe, istituita nel 2004 dal
Parlamento italiano, è stato designato il 10 febbraio: nella stessa data del
1947 infatti vennero assegnati alla Jugoslavia l’Istria, il Quarnaro, Zara e
parte della Venezia Giulia, a seguito degli eccidi compiuti ai danni di molti,
si stima circa 7000, civili e militari italiani provenienti dai territori sopra
citati. Italiani a tutti gli effetti, nella lingua, nei costumi, nell’identità
nazionale, e culturale. Proprio ai tempi del nazionalismo sfrenato, dominante e
irruento, al tramonto della seconda guerra mondiale, si sono verificati questi
episodi, in base alle interpretazioni, di “pulizia etnica” o vendetta per
crimini di guerra subiti durante il periodo fascista dalle popolazioni slave, e
rivendicate in modo efferato dai partigiani, gli stessi che si macchiarono di
questi delitti. Non solo molti cittadini vennero gettati in queste cavità
proprie della conformazione geologica carsica, che fino ad allora erano state
impiegate come una sorta di discariche per suppellettili e carcasse di animali,
ma molti, circa 250000, vennero costretti al cosiddetto “esodo giuliano-dalmata”,
più o meno forzato, verso l’Italia.
Il
vero cardine della conferenza tenuta oggi 12 febbraio dal professore e storico
Gianni Oliva, sono stati i motivi e le responsabilità di tanti anni di omissioni
e noncuranza, in una chiave di lettura ampia e approfondita, mirata non solo a
dare un inquadramento generale a una tematica ancora poco conosciuta e discussa
in larga scala, ma anche ad illustrare dinamiche più strutturate: i silenzi
internazionali, di partito, di Stato, dell’Italia che nel 1945 ha perso la
guerra ma non vuole ammetterlo e che utilizza il pretesto della Resistenza per
assolversi dalle proprie colpe. Diventano indicibili le foibe e i profughi, in
quanto vittime anche dopo la fine del conflitto mondiale di eccidi e soprusi e
simbolo di un passato da non rievocare, troppo sconveniente e dal risvolto
imprevedibile, nel segno della rimozione di una sconfitta marchiata a fuoco.
Da
qui la necessità di continuare ad avvicinarsi, con la giusta cautela, ad
avvenimenti storici tanto dolenti per sentirli vicini, attuali ed emblematici,
per non relegare la Storia a un confine delimitato e invalicabile, a una
“cortina di ferro” – termine introdotto da Winston Churchill nel discorso al
Westminster College – : «Da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico una
cortina di ferro è scesa sul continente. Dietro quella linea giacciono tutte le
capitali degli antichi stati dell’Europa Centrale e Orientale.»
Altro
aspetto a ragione insistentemente sottolineato è l’importanza della storia
moderna e contemporanea, dalla Rivoluzione francese in poi, non solo a livello
di letture e approfondimenti personali, ma anche e soprattutto di programma
scolastico: mentre la storia greca, romana e medievale, perlomeno a grandi
linee resta un punto fisso, un simulacro di memoria per molti studenti,
talvolta davanti a menzioni di nomi, date e fatti storici molto più recenti si
rimane perplessi: ho pertanto condiviso l’invito del professore a una maggiore
attenzione e cura nell’approccio al passato prossimo, vero specchio e
riferimento del presente.
A
cura di Giulia Mora, classe 4C
Nessun commento:
Posta un commento