martedì 3 marzo 2020

Piccoli scrittori crescono


Alcuni alunni del Liceo Classico hanno partecipato al concorso "Sulle vie della parità", indetto dalla associazione "Toponomastica femminile", in collaborazione con il Premio Italo Calvino, nella sezione "Narrativa".
Il concorso prevedeva di completare, sviluppando un punto di vista femminile, uno a scelta tra quattro diversi incipit di romanzi contemporanei, esprimendo problematiche relative all'integrazione, alla tolleranza e al ruolo della donna nella società contemporanea.
A volte queste piccole grandi sfide consentono agli alunni di mettersi in gioco, misurandosi con studenti di altre realtà scolastiche, e di sviluppare creatività esprimendo personali modi di vivere problemi e temi contemporanei.
Tra le tracce inviate, l'alunna Rebecca Bona della classe III B si è classificata seconda con l' elaborato che  riportiamo di seguito.
La premiazione, al momento rimandata per l'emergenza sanitaria, avverrà nel mese di Marzo.
Ci auguriamo che queste iniziative, volte a stimolare la scrittura creativa, possano continuare e dare occasione agli alunni del Liceo di sviluppare il loro talento di giovani scrittori in erba.


"Non c'era più tempo per i ripensamenti, sapeva di non poterselo permettere. Non in quel momento, non in quella situazione. 
Quella mattina Giulia si era vestita meccanicamente, fissando distrattamente un punto indistinto sulla parete bianca e spoglia di fronte a sé e cercando in ogni modo di svuotare la mente da quei mille pensieri che ormai non facevano altro che tormentarla giorno e notte. Non appena chiudeva gli occhi poteva risentire con estrema chiarezza quelle risate di scherno, quelle voci piene di disprezzo, le mani di lui sui suoi fianchi, gelide e inaspettate e le sue stesse grida che giungerle alle orecchie ovattate e quasi prive di significato. 
Si era guardata allo specchio ancora una volta, cercando di cogliere in quel volto scarno e pallido un qualcosa della Giulia che lei conosceva, quella Giulia forte e sicura di sé, quella Giulia capace di gioire delle piccole cose che la vita ogni giorno le donava, quella Giulia che non avrebbe mai pensato di cedere di fronte a un problema, ma non c'era nulla. Niente. 
Non c'era più traccia della persona che credeva di essere: al suo posto era una ragazza fragile e spaventata in cui lei non riusciva a riconoscersi, una giovane donna piena di dolore che non sapeva come rialzarsi dopo una rovinosa caduta. 
Più si guardava negli occhi e più dentro di lei si faceva largo un profondo senso di vuoto che pian piano la divorava, logorandola dall'interno e ricordandole che non sarebbe mai più potuta tornare indietro. 
I lividi sul suo corpo erano ormai svaniti, eppure lei ne ricordava perfettamente la posizione, la forma, il colore, ma soprattutto rammentava il dolore che aveva provato quando le erano stati inflitti. Un dolore lancinante, lacerante, un dolore che superava ogni concezione di sofferenza fisica. 
Lei non lo voleva. 
Non lo aveva mai voluto. 
Si sentiva sporca dentro, privata di ogni forza e dignità, impotente di fronte a tutta quell'angoscia che sembrava seguirla come un'ombra. 
Non era colpa sua, non poteva esserlo. Eppure non era più convinta nemmeno di quello. Come poteva, dopotutto? 
Un'unica solitaria lacrima calda le scese lungo la guancia e Giulia attraverso lo specchio la osservò scivolare senza intoppi sul suo volto e cadere sul suo maglioncino nero. 
Ogni mattina si svegliava e una parte di lei sperava sempre di poter aprire gli occhi e capire che quello non era stato che un terribile incubo, ma sapeva che non sarebbe successo. Sperava che si sarebbe ristabilita, che in un modo o nell'altro avrebbe potuto andare avanti. Che sarebbe riuscita a riprendere in mano la sua vita. 
Aveva così tanti sogni, così tanti progetti, eppure in quel momento non ne ricordava neanche uno. 
Non avrebbe saputo dire neanche cosa avesse guardato la sera prima alla televisione, né tantomeno cosa avesse fatto con movimenti meccanici e ormai automatici in ufficio. 
Lui l'aveva annullata, e non si poteva più tornare indietro. 
Prese lo zaino preparato il giorno prima, scese al piano di sotto e con lentezza ne estrasse la busta lilla, accuratamente sigillata, per poi posarla in bella vista sul tavolo della cucina. 
Si guardò indietro ancora una volta, osservando quei dettagli della casa che tempo prima aveva scelto con tanta accuratezza: le piccole finestre che davano sul grazioso giardino, il lampadario antico, i colori caldi, i fiori sul tavolo, ormai appassiti. 
Uscì senza più guardarsi indietro. 
Arrivò al parco molto più velocemente del previsto e si concesse un minuto per osservare tutti quei bambini che giocavano, ridendo e scherzando sulle altalene e gli scivoli. I loro volti erano così rilassati, così sereni, così privi di qualunque tipo di ansia, paura o preoccupazione. La spontaneità dei loro gesti gentili, la genuinità dei loro sorrisi dolci che regalavano a chiunque fosse disposto ad accettarli e a ricambiarli, la loro purezza l'avevano sempre fatta sorridere: i bambini erano ciò che di più vero e puro si potesse trovare in tutto il mondo. 
Il suo sguardo fu catturato da una bambina minuta dai lunghi capelli castani raccolti in due buffi codini che giocava da sola a campana, ridendo come se non desiderasse altro nella vita. Saltellava gioiosa, anche da sola, mentre i genitori la osservavano da lontano, tenendosi la mano, con un amore così profondo negli occhi che Giulia quasi si stupì. 
Faticava a ricordare un momento in cui ci fosse stata lei, in quella situazione, in cui l'unico problema fosse chi arrivava per primo nella corsa a ostacoli o non farsi trovare giocando tutti insieme a nascondino. In cui la felicità era dettata da quelle piccole cose che però sapevano migliorarti la giornata: la mamma che aveva preparato il tuo piatto preferito per cena, una gelato con papà dopo la scuola, un pigiama party con le amiche o un cartone animato insieme, dormire fino a tardi, mangiare pane e nutella o raccogliere un mazzo di margherite per la nonna. 
Avrebbe dato tutto per poter ritornare indietro, ma non era possibile. 
Sapeva che per lei non c'era più niente in cui credere, niente da cui ritornare, niente su cui contare. 
Si allontanò velocemente, mentre un groppo le saliva su per la gola, rendendole difficile respirare. Ormai conosceva fin troppo bene quella sensazione, e quasi riusciva a non farci più caso. 
Si avviò con passo spedito verso un angolo isolato del parco, in direzione di una grande e possente quercia dalle foglie di un verde acceso e brillante. Alla visione della panchina in ferro sotto di essa, per un attimo, tremò. 
Eppure si avvicinò e vi ci si sedette, cercando di ignorare il senso di panico che, esattamente come l'ultima volta che era stata lì, l'aveva assalita come uno tsunami, minacciando di sopraffarla. 
Si concedette un attimo per riprendersi, mentre quelle immagini che aveva cercato in tutti i modi di reprimere e scacciare nei più reconditi angoli della sua memoria si facevano più vivide che mai: le botte, le battute sprezzanti, le risate di scherno. E poi, improvvisamente, le sue mani su di lei, che la toccavano, che la obbligavano a spogliarsi. 
Lei non lo voleva. 
Non lo aveva mai voluto. 
Avrebbe voluto tante cose, per sé. Desiderava un marito, dei figli, una famiglia che la amasse da cui tornare ogni sera, desiderava scrivere, diventare una giornalista di successo. 
Ma non sarebbe mai successo. Non avrebbe mai potuto farlo. 
Sapeva che la Giulia che conosceva ce l'avrebbe fatta, che sarebbe stata in grado di realizzare uno dopo l'altro tutti i suoi sogni, tuttavia lei non c'era più. Le era stata portata via insieme ai suoi obiettivi, a ogni traccia del suo orgoglio e della sua sicurezza. 
Insieme al suo sorriso, a tutta la felicità di una vita che, in un solo attimo, era stata completamente spazzata via. 
Le era stata strappata via dalle mani contro la sua volontà, come a mille altre donne, mille altre madri, mille altre adolescenti. 
Aprì lo zaino e ne estrasse una corda, e mentre si impiccava l'unico pensiero che le attraversò la mente fu "non me lo meritavo". 
La busta lilla, ritrovata solo diverse ore dopo, conteneva poche righe scritte con una grafia tremolante ma ordinata: «Non fatelo. Non uccidete una persona. Non obbligatela a vivere così. Non costringetela a rinunciare al dono più grande che ha: la vita. »