Il 25 Novembre si è celebrata la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, con numerose iniziative di sensibilizzazione sulla tematica, tra cui anche un convegno, organizzato dal nostro Istituto in collaborazione con il Comune di Asti e la Commissione Pari Opportunità, che ha visto l'intervento di esponenti della Questura, del comando dei Carabinieri, del Centro antiviolenza l'Orecchio di Venere.
Gli studenti del corso di Giornalismo hanno elaborato le loro riflessioni sulla giornata del 25 Novembre. Proponiamo di seguito il primo articolo, che invita i lettori a non abbassare mai la guardia quando si tratta di parità e disparità di genere:
"La violenza sulle donne in Italia raggiunge un tragico record, proprio nei giorni che precedono il 25 novembre, data in cui si è celebrata la giornata internazionale contro la violenza sulle donne; l’Italia quest’anno in particolare ha bisogno più che mai di sottolineare come questo fenomeno sia in crescita: i dati non fanno infatti che destare grande preoccupazione.
"La violenza sulle donne in Italia raggiunge un tragico record, proprio nei giorni che precedono il 25 novembre, data in cui si è celebrata la giornata internazionale contro la violenza sulle donne; l’Italia quest’anno in particolare ha bisogno più che mai di sottolineare come questo fenomeno sia in crescita: i dati non fanno infatti che destare grande preoccupazione.
I media, la televisione e le istituzioni stesse si sono preoccupati di ricordare a tutti l’importanza della giornata e di sottolineare come questa tendenza debba essere fortemente contrastata e in qualche modo ridotta.
Dal report pubblicato online dal Viminale, i dati non fanno ben sperare: dal primo gennaio al 21 novembre di quest’anno sono state registrate 109 vittime donne, di cui 93 in ambito familiare e affettivo e di queste ben 63 morte per mano di partner/ex partner. Il 7% in più rispetto al 2020.
La giornata contro la violenza sulle donne quest’anno si carica quindi di un significato ancora più importante e proprio per questo, in maniera ancora più accentuata e decisa rispetto agli anni precedenti , il 25 novembre è stato costellato di scarpette rosse , di inchieste e iniziative che cercavano di animare le coscienze delle popolazione e di interventi di figure celebri e importanti all’interno del panorama italiano, che ricordano come sia sbagliato commettere ogni tipo di violenza nei confronti delle donne, invitando le stesse a denunciare qualunque genere di oppressione che le vede protagoniste o a cui assistono di riflesso: tutto giustissimo, come è corretto che ogni anno questa ricorrenza venga ricordata nelle opportune modalità, ricevendo la giusta visibilità a livello nazionale.
Il problema però è che l’Italia che oggi ci dice di non picchiare le donne è la stessa che ieri, quando una ragazza veniva violentata, le attribuiva la colpa: perché la sua gonna era troppo corta oppure aveva bevuto troppo alcol.
È la stessa che provava un certo senso di compassione ed empatia e che giustificava un uomo che picchiava la moglie poiché questa l’aveva tradito, definendolo come qualcuno che aveva “perso la testa a causa della gelosia”, perché in fondo solo di questo si tratta, giusto? Di un momento di debolezza, un semplice scatto di rabbia, provocato dal dolore causato dal tradimento, considerato l’amore immenso che provava per lei. Di colpo la vittima scompare, rimangono solo le pene d’amore del carnefice.
Sembra assurdo, eppure è il messaggio che ancora troppo spesso, implicitamente o esplicitamente, arriva dagli articoli o dalle opinioni di personaggi anche di una certa rilevanza.
Si parla sempre di lei, la stessa Italia che, esattamente quattro giorni dopo la giornata contro la violenza sulle donne, assiste inerte alla scena la cui protagonista è Greta Beccaglia, una giornalista sportiva che durante un servizio viene palpeggiata e a cui, dopo diversi apprezzamenti non richiesti mentre stava soltanto cercando di svolgere il proprio lavoro, viene tranquillamente detto dal collega in studio: “Si cresce con queste esperienze”, tutto spudoratamente in diretta televisiva.
No, non sono esperienze che fanno crescere, niente di tutto ciò rafforza una donna, non dovrebbe essere giustificato o considerato nella norma.
Una donna, in quanto essere umano, ha un suo corpo che nessuno sconosciuto dovrebbe permettersi di toccare senza consenso, ha una sua identità, una volontà e un pensiero libero, nessuno la possiede e non è una semplice figura subordinata a quella dell’uomo.
Ed è questo che forse l’Italia non capisce, che una donna, in primo luogo, non è altro che una persona, con dei sogni, delle ambizioni, un lavoro, un titolo di studio e poi è anche una madre, una moglie, una fidanzata: non il contrario.
Vengono giustificati di continuo, spesso anche involontariamente (e la cosa non fa che essere ancora più grave per questo), fenomeni di violenza, di misoginia le cui vittime finiscono per diventarlo doppiamente, perché oltre ad avere subito una violenza ne sono state anche la diretta causa, “se la sono cercata”.
Michela Murgia, ma anche altre donne (e non), impiega parte della sua vita per denunciare il maschilismo radicato nella società, nel nostro modo di vivere e nelle nostre abitudini, fornendoci una visione diversa della realtà in cui viviamo, analizzando il linguaggio e i comportamenti quotidiani che preludono a fatti ben più gravi e violenti e che arrivano a sfociare nei femminicidi. Lei, giornalista, scrittrice e opinionista televisiva, è la prima ad essere pesantemente attaccata per l’aspetto fisico, come se, in quanto donna, qualsiasi cosa da lei detta, passasse in secondo piano rispetto a come appare.
E come lei, tante altre donne sono vittime dello stesso male, sminuite quotidianamente nel loro valore.
Ma di questi problemi nessuno si cura, i femminicidi rimangono semplici casi di cronaca e il 25 novembre l’Italia si limita a piangere le sue vittime a testa bassa, le stesse di cui non si preoccupa durante gli altri giorni." Denise Gaiot, classe 3C
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